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Fabrizio De Andrè: poeta. Precauzionalmente cantuautore

Avevo 15 anni l’11 gennaio del 99. De Andrè lo avevo ascoltato poco, e del resto difficilmente così giovane sarei riuscito a capire i suoi versi così come mi si sono parati dinanzi negli anni successivi. Proprio per questo non l’ho mai ascoltato dal vivo: un rammarico che porterò dietro e per il quale potrò incolpare soltanto il mio ritardo anagrafico nei confronti di un poeta che, precauzionalmente, amava definirsi un cantautore. A quindici anni esclamai: “Papà lo sai, è morto De Andrè”. Cambiò volto, gli occhi quasi annebbiati. Solo oggi, dopo aver passato intere notti a girovagare fra la sua voce ed i suoi pensieri, credo di aver capito il perché di quegli occhi lucidi.

Fabrizio De André, a tratti anarchico e poeta, più semplicemente un uomo, ha narrato la vita di ogni generazione vecchia e nuova che si è affacciata o si presenta tuttora oppure ancora si tufferà nella vita di ogni giorno. Paure, ansie, gioie effimere, dolori, debolezze e semplici pulsioni trovano nei versi di Faber ogni giorno una luce comune e singolare allo stesso tempo, figlia inconsapevole di una voce tenera e forse brutale. Il nostro amato poeta ha narrato in vita e continua a raccontare ancora oggi, a dieci anni esatti dalla sua scomparsa, la vita di ognuno di noi e lo fa senza alcuna pretesa di sorta o di supremazia su qualsiasi altra poetica. Non saprei descrivere l’animo di De Andrè con puntualità: nella mia mente affiorano e combattono fra di loro i miei pomeriggi, i miei sospiri, i miei dolori ed i miei sorrisi tenuti insieme da questo o quel verso, da una buona novella o dalla denuncia della storia di un impiegato. L’animosità della collettività, il qualunquismo della borghesia, lo spirito della lotta ma anche le angosce ed i pensieri dei singoli: ogni più remota emozione racchiusa forte, flebile e lampante nelle parole e nella voce di colui che mi ha fatto sentire un amico fragile, un bombarolo, un secondo secondino, un’anima salva, una visione di anima contadina in volo per il mondo.
Chissà cos’ho scritto … probabilmente nulla, non ho idea di come si possa raccontare Fabrizio De Andrè. Sarebbe forse anche banale dirgli grazie. E’ lui che mi abbraccia ogni volta che lo ascolto, in ogni attimo che mi passano per la mente le sue parole, ad ogni mia lacrima e ad ogni mio sorriso che ha saputo far venire fuori semplicemente raccontando la mia vita senza conoscerla.

Alessio Arpaia
(www.capitoloprimo.it)

a Serena

Cominciai a sognare anch’io insieme a loro
poi l’anima d’improvviso prese il volo.

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
al ritmo balordo del tuo cuore malato
e ti viene la voglia di uscire e provare
che cosa ti manca per correre al prato,
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare
come diavolo fanno a riprendere fiato.

Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti.

Eppure un sorriso io l’ho regalato
e ancora ritorna in ogni sua estate
quando io la guidai o fui forse guidato
a contarle i capelli con le mani sudate.

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo,
non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,
quando il cuore stordì e ora no non ricordo,
se fu troppo sgomento o troppo felice.

E il cuore impazzì e ora no non ricordo
da quale orizzonte sfumasse la luce.

E fra lo spettacolo dolce dell’erba
fra lunghe carezze finite sul volto,
quelle sue cosce color madreperla
rimasero forse un fiore non colto.

Ma che la baciai questo sì lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra.

E l’anima d’improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro
no non mi riesce di sognare con loro.


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