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L’editoriale. La nostra polis
Si è smontato in un attimo tutto.
Circa due mesi fatti di manifesti, proclami, fotografie, gigantografie e camioncini. Palchi, aree eventi di discutibile attinenza con l’etimologia stessa del termine, canzoni ad hoc, megafoni con voci distorte, incontri, percentuali urlate (a fare la somma di tutte le cifre si arrivava circa al 380 % di voti validi) … Sorrisi, strette di mano, ed ovviamente … the dark side … le urla in ogni sezione elettorale, al momento dello spoglio: i calcoli, i rappresentanti di lista quotati e quelli invece ‘lasciati in disparte’. Niente di nuovo sotto il sole, tutto sommato … forse lo sgomento di chi per un attimo aveva dimenticato che la politica è fatta di manifesti, chiacchiere, strette di mano e anche di sceneggiate sopra ai seggi elettorali.
E poi c’è l’altra faccia della politica … Quella di cui abbiamo già parlato. Quella fra la gente. La politica che ci piace molto di più dei comizi, molto di più dei proclami. Quella che riusciremo a fare, sempre e comunque. Forse lottando. Questo giovedì ad esempio parleremo insieme alla prof.ssa Morlicchio del lento processo di deindustrializzazione di Torre Annunziata e del declino inevitabile di un angolo di società. Ci confronteremo, proveremo a far luce, almeno a capire le dinamiche della storia; così come due settimane fa con il prof. Piperno abbiamo viaggiato fra i movimenti del ’68, inoltrandoci nel campo teorico di una stagione di rivolta più che nei semplici racconti di questa o quella manifestazione.
Questa è politica: le nostre aree di dibattito! La sala conferenze come una sorta di polis in miniatura dove lasciar spazio alle parole. Forse non serve a nulla, una volta usciti di là. Forse … anche perché è facile lasciarsi perdere nell’andazzo generale. Per un professionista a volte sembra inevitabile pensare: “se non mi metto a leccare il culo al professionista agganciato sul comune non faccio nulla”… Per un operaio allo stesso modo sembra inevitabile elemosinare un posto in chissà quale nuovo centro commerciale magari in cambio di eterna fedeltà. Per chiunque non ha strade dinanzi a sé, il più delle volte l’unica per non finire nel burrone è affidarsi a questo o quel signorotto, a scadere dalla politica delle polis a quella dei favori. E diciamocelo … lo scoramento, quando arriva a dire “accussì va o’ munn”, raggiunge l’apice della resa delle armi. La raggiunge, si, anche perché negli ultimi trent’anni la collettività ha lasciato sempre più il posto all’individuo, dandogli spazio per affermare i propri valori e, allo stesso tempo, lasciandolo solo a fare i conti con responsabilità e bisogni.
Eccolo l’errore.
Da soli si crede di contare, ma non si conta nulla. Bisognerebbe ricominciare a stare insieme, a costruire insieme il futuro invece di costruirci ognuno da solo il suo, per poi trovarci ogni giorno più soli e più precari.
Noi per ora proviamo a parlarne, con la lontanissima utopia di non dover più dipendere dai tanti Don Rodrigo che infestano l’Italia, il Sud, Napoli.
Il giovane Alessio
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