Iscriviti alla newsletter per ricevere informazioni e notizie su eventi ed altro del Pompeilab
Speciale Teatro: Kitèmmùrt! Ventriglia e Amleto, tra fantasmi e verità
Non è facile assistere ad una performance di Gaetano Ventriglia, soprattutto se si tratta del magnifico monologo dal titolo estemporaneo “Kitèmmùrt”. Ventriglia, oltre a possedere rilevanti doti attoriali, è uno dei pochi performer che va oltre il testo, oltre quello sperimentalismo asettico che, ormai, troneggia nei migliori festival teatrali italiani. Al momento è forse l'unico omaggio possibile e immaginabile che si possa fare al grande Leo De Berardinis, forse l'unico vero erede del defunto attore campano che, in passato, prima del grave "incidente", ha deliziato i teatri italiani con le sue riletture farsesche dei classici del teatro.
Ventriglia parte dall'atto V, scena II, dell'Amleto sheakesperiano per arrivare ad “Adesso tu”, brano di Eros Ramazzotti, passando in rassegna tutto il dramma di Shakespeare riveduto e s-corretto. Ma cosa potrebbe collegare Ramazzotti a Shakespeare? Perché l'attore-autore Ventriglia compie questa scelta sacrilega?
Giuseppe Ferraro, docente alla facoltà di Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, ha provato a chiederglielo nell'interessante incontro organizzato a fine spettacolo. L'attore foggiano è però stato evasivo, dichiarando che non sempre l'autore riesce a dare un senso logico a tutto quel che scrive. Quindi, apparentemente, non c'è connessione? Ma cos'è, allora, che fa funzionare questo monologo frammentato?
“Kitèmmùrt” racconta un Amleto moderno e solitario, che ha perduto la sua Ofelia, gli amici e la famiglia. E lo fa davanti ad un pubblico immaginario, vestito come un Nick Cave della prima ora.
Racconta e riscrive la sua tragedia, la sua follia, usando l'arma tagliente della farsa, senza cadere nel solito soliloquio sull'“esserci o non esserci”, ma, anzi, provando a raccontare l'inganno della sua vita, ricordando, perché il ricordo non si può cancellare. O forse sì.
Allora Amleto, chino sulla tomba di Ofelia, preme il tasto del suo piccolo registratore portatile: ed ecco uscire le note di una canzone che Ramazzotti dedicava appassionato alla sua piccola creatura nei loro momenti calorosi e intimi.
“Che poi domani, che vi trovate parlando con gli amici nei locali, allora potete raccontare quello che avete visto e sentito stasera, ma… senza impegno, eh! Domani, domani… che vi trovate parlando… allora… domani, domani, domani…”, dice alla fine Ventriglia-Amleto al pubblico in sala. Un domani diverso dal “qui e ora”, che sicuramente non avrà nulla a che vedere con quello che ha mostrato Amleto perché il mondo fa schifo.
Ventriglia mette la tecnica attoriale a servizio dei sentimenti e del suo smarrimento, e si ritaglia uno spazio all'interno del teatro cosiddetto off che abita da solo o con pochi altri.
Amleto vorrebbe cambiare il mondo con il teatro ma non riesce nell'intento, si perde nella sua vita inconsistente. E allora, a che serve il teatro? A nulla. Forse solo ad amplificare la verità fino a farla svanire, serve a soddisfare l'egoismo degli Amleti di turno, ma poi il pubblico torna a casa, si promette di raccontare agli amici quel che ha visto e, il più delle volte, dimentica. Dimentica perché è troppo duro ricordare. “Ricordati di me”, gli dice ossessivamente il fantasma del padre, ma Amleto sogna di sostituirsi a lui e dimentica la parte.
È sempre lo stesso discorso: è troppo difficile conservare i ricordi, si rischierebbe di impazzire e allora, il più delle volte, li perdiamo ripetendo sempre gli stessi errori.
“Kitèmmùrt” è un discorso sulla memoria magmatico, caotico e universale, condotto da uno straordinario attore che, come avviene spesso nel teatro italiano, forse non viene preso nella giusta considerazione
Francesco Bove
Commenti (0) Foto (0) Video (0) Audio (0)