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I racconti di PREMISCELATO: CIRUZZ O'PANETTIER
Quella sera Scognamiglio Ciro, detto o’ panettier, poteva svoltare. Realizzare finalmente il suo sogno.
Il ring era stretto tra sedie di plastica, il fumo delle sigarette e la puzza dei motorini. Erano dappertutto : sui marciapiedi, tra le sedie, tra le transenne. Perfino davanti ai portoni delle case.
La serata d’estate era calda, umida. Da far mancare il respiro. E l’asfalto consumato bruciava ancora sotto le suole delle scarpe.
Il paesone dell’area vesuviana ospitava una serata di boxe di basso livello professionistico. L’incontro clou era tra il pugile di casa e un ucraino. La posta in palio: la possibilità di diventare un vero pugile. Di combattere su un vero ring da professionista. Di quelli illuminati a giorno con la gente ben vestita tra le prime file. Dove i manager ti osservano mentre carezzano gambe affusolate di donna avvolte in calze di seta.
Grida di bambini e vociare distratto, quando dal quadrato finalmente lo speaker annunciò l’incontro.
Salì prima lo straniero. Carnagione chiara e occhi di ghiaccio. Di un azzurro chiaro. Sembravano guardare già avanti. Già al prossimo incontro. Alle luci e ai guadagni di un vero professionista.
Ciruzzo era più basso. Più tarchiato e aveva le braccia più corte. Aveva due occhioni neri in un corpo da orco. Sopracciglia foltissime e capelli ricci. Non sembrava proprio un pugile. Aveva fatto il fornaio sin da ragazzino e aveva cominciato a boxare nella palestra del suo paese. Terra di camorra. Dove chi viene da certi quartieri o si spacca il culo e arrangia con lavori di merda o spaccia droga.
< Cirù rumpel ‘e ccorne ! >. Una voce dal fondo. < Miettelo dint ‘o furn >. Un’altra da un balcone che dava sulla piazza.
Poi giù risate e grida.
L’atmosfera era elettrica e la macchina dello zucchero filato girava a tutto andare.
Ciro si tolse il cappuccio dell’accappatoio lucido e fece segno con il pollice del guantone verso l’alto. Come aveva visto fare a un pugile americano in tv.
Il pubblico fece partire un applauso esorcizzante, spontaneo. Quasi per intimorire il gigante ucraino. Battevano le mani tutti. Il sindaco e l’opposizione. Il guappo in prima fila e i carabinieri vicino alle transenne. La gente perbene, quelli che arrangiavano e le zoccole : quelle a pagamento e non.
Non contavano leggi e codici quella sera . C’era una tregua tacita. Tutti gli occhi erano puntati sullo scontro tra due uomini armati solo dei loro pugni.
La campanella aprì finalmente le danze.
Ciro avanzò subito tra le grida della folla.
Destro, sinistro. Destro, sinistro. Sinistro. Sinistro. Ma l’avversario fuggiva via. Sgusciava come un serpente.
Un altro destro a vuoto di Ciro, poi l’orso ucraino cominciò a picchiare. Colpi veloci. Secchi. Al volto e al costato. Saltellava e si muoveva in maniera essenziale. Senza fronzoli.
Il fornaio ritornò all’attacco. Adesso la gente gridava più forte e lui aveva voglia di dare un bel pugno sul grugno a quel figlio di una puttana dell’est. Partì di destro.
L’orso fece finta di indietreggiare, poi partì con un gancio mancino d’incontro al mento. Il rumore del guantone sul viso del pugile di casa si udì fino alle ultime file di sedie. Fin su ai balconi in fondo alla piazza.
Ciruzzo si avvinghiò all’avversario, stringendolo con gli occhi chiusi per non cadere.
Gong.
La fine del primo round arrivò a salvarlo.
- Che cazzo stai facendo, Ciro ? Non stare a sentire la ggente ! - Gli disse l’allenatore digrignando i denti – Che fretta hai ? Te lo devi lavorare come abbiamo studiato in allenamento !
Ma Ciro il fornaio sembrava non ascoltarlo. Era nervoso. Alla sua età, ormai aveva solo quella possibilità di diventare qualcuno. Di togliersi con le sue mani quel soprannome da dosso. Di levare i suoi figli da quel quartiere di merda. Aveva troppo poco tempo per tenerli d’occhio tra il lavoro e l’allenamento. E aveva paura di vederseli strappare via dalla droga. Ma quella maledetta fretta lo stava fottendo. Stava allontanando il suo sogno.
La campanella squillò l’inizio del secondo round.
Uno sguardo ai figli in prima fila, poi un lungo respiro e uno sguardo all’avversario.
Si alzò pensando a quello che doveva fare.
Doveva difendersi. Colpire e chiudersi. Farlo stancare. Doveva portarlo lontano fino a farlo sfiancare. Fino alle ultime riprese e lì, se fosse riuscito a rimanere ancora in piedi. Se fosse ancora riuscito a non schiattare per un cazzotto dell’avversario: osare. Attaccare.
Altre volte ci era riuscito. Ma questa volta davanti aveva un vero pugile. Uno straniero di cui non capiva le parole e di cui neanche riusciva a leggerne le emozioni. Si muoveva rapido e colpiva il bastardo. Da destra. Da sinistra. Ciruzzo non sapeva bene come difendersi, ma doveva farlo. Doveva assolutamente riuscirci.
Ma intanto quel bastardo picchiava forte al corpo. Colpiva e si muoveva e quei suoi occhi di ghiaccio sembravano non fissarlo. Sembravano guardare oltre.
Le riprese che passavano misero in chiaro le cose tra i due. Semmai ce ne fosse stato bisogno.
La velocità e l’eleganza contro la caparbietà e la resistenza.
Non sembrava esserci storia.
Un altro pugno in faccia e poi di nuovo il gong.
Un’altra ripresa a favore dell’avversario.
Ciro andò verso l’angolo. Non sapeva neanche a che diavolo di ripresa era arrivato.
Barcollò verso lo sgabello e a stento riuscì a centrarlo sedendosi.
Il pubblico era ammutolito. Ma adesso ‘o panettier non ci faceva più caso.
Respirava a bocca aperta e aveva una ferita al sopracciglio destro.
L’allenatore gliela medicò, poi disse :
- Ciro, ti sta facendo male. E’ troppo forte ed ha troppo vantaggio.
- Sto bene. Ce la faccio.
- Se continua così ti farà male e ormai non puoi vincere ai punti. Io butto la spugna .
- Non sono arrivato fin qui per arrendermi. Lasciami ancora un'altra ripresa - ansimò Ciro con le labbra gonfie – Un’altra ripresa, ce la faccio !
- La cominci, – Gli disse l’allenatore – ma se va avanti ancora così, butto la spugna e fermo l’incontro.
- E je t’accide !
Di nuovo la campanella.
- A che ripresa stiamo ? – Chiese Ciro alzandosi a fatica.
- All’ultima.
- Non fermare l’incontro. Fammelo terminare.
L’avversario venne avanti e lo colpì un’altra volta. Fintò di sinistro e partì con un destro e un sinistro al costato. A Ciro sembrò che l’ucraino gli stesse ridendo in faccia, adesso. Era sicuro di vincere il bastardo. Poi un diretto e un gancio al volto. Il figlio di puttana continuava ridere.
- Muoviti ! - Gridò l’allenatore dall’angolo - Schiva !
Ciro non si mosse. Non schivò. Chiuse forte la sua mano da fornaio e partì di destro. Senza vedere. Alla cieca. Ad occhi chiusi .
L’ucraino fu colpito. Fece due passi indietro e attese, mentre un rivolo di sangue cominciò a corrergli dal naso. E smise di ridere.
Fu un istante e la folla saltò sulle sedie urlando e incitando il suo compaesano.
Le donne urlavano e gli uomini si abbracciavano. Il comandante dei vigili finì a terra per la gioia. Perfino un borseggiatore fermò le mani a metà del suo lavoro per dare un occhio al ring.
Ma Ciro non ne aveva più in corpo. Era sfinito.
L’orso di ghiaccio prese fiato. Si passò l’avambraccio sotto il naso insanguinato e ritornò all’attacco. Adesso i suoi occhi ribollivano di rabbia e lo fissavano. Partì con tutta la forza che aveva in corpo e gli tirò un altro pugno diretto al costato.
A Ciro il pugno tolse il fiato. Non riusciva a respirare. Allargò le gambe e chiuse la guardia. Non pensò a nulla. Solo a rimanere in piedi. Ancora fino al suono di quella fottuta campanella. Fino alla fine dell’ultima ripresa.
Ancora in piedi.
Scognamiglio Ciro detto o’panettier era un trattore. Non aveva tecnica, non aveva velocità. Solo cuore e coraggio. Avanzava a testa bassa e le prendeva. Chiudeva la guardia e pensava a non andare giù.
Aveva gambe forti e la faccia dura per resistere. Bicipiti e polpacci d’acciaio per venire fuori dalla miseria e portarsi dietro la sua famiglia.
Ma quella sera di tanto tempo fa non andò come nelle belle favole. Non ci fu nessun lieto fine e nessuno visse felice e contento.
K.O. all’ultima ripresa.
Il sogno di Ciro andò al tappeto ad un passo dalla fine dell’incontro e con lui andò col culo per terra un’intera città. Perché dietro ai guantoni del pugile fornaio c’erano i volti di tanta gente per bene, che in quella schifosa città del sud aspettava un riscatto. In tanti in quella piazza avevano sperato di vedere uno di loro farcela in maniera pulita.
Chissà che fine ha fatto adesso il pugile fornaio. Chissà dov’è.
Se è scappato via dalla sua città. Se è impazzito e sta sul letto di una clinica psichiatrica.
Se si è arreso e ha cominciato anche lui a spacciare droga. O semplicemente se è tornato a farsi il culo in palestra. E a fare il pane lavorando per dieci ore di fila.
Chissà quando è solo e non riesce a dormire, se pensa mai a quella sera d’estate. Se pensa a cosa sarebbe cambiato per lui se fosse rimasto ancora in piedi. Se in quella maledetta ultima ripresa avesse vinto lui.
Chissà.
In quella calda notte un uomo è caduto. Come è successo ad altri e come succederà sempre.
Speriamo solo abbia avuto la forza di rialzarsi. Di continuare a vivere e combattere inseguendo i suoi sogni.
Premiscelato.
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