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I racconti di PREMISCELATO: PER SEMPRE
S.: Toc, toc ! Apri, bella.
C.: Chi è ?
S.: Sono io.
C.: Io chi ?
S.: Io.
C.: Io ? Non conosco nessun uomo con questo nome.
S. : In verità il mio nome adesso non lo ricordo.
C.: Mi dispiace, allora non puoi entrare.
S.: Però ti ho pensata tutti i giorni da dove mi trovavo, lo sai ?.
C.: Non lo hai mai fatto quando eri con me. Adesso è troppo tardi per pensarmi tutti i giorni.
S.: Ecco. Il mio nome adesso è Tuttigiorni.
C.: Tutti i giorni ? Credo proprio che tu non conosca bene il tuo nome. Cerca di ricordare meglio.
S.: Ogni settimana.
C.: Come ?
S.: Quindici giorni ?
C.: Che ?
S.: Facciamo ogni mese.
C.: Adesso cominciamo a ragionare.
S.: Allora mi hai riconosciuto ? Mi fai entrare ?
C.: No.
S.: Allora me ne vado ?
C.: No.
S.: Allora ...
C.: No.
S.: No ? Ma se non ho ancora parlato.
C.: Qualsiasi cosa tu dica comunque la mia risposta è no .
S.: Questa è bella. Ho fatto diecimila chilometri per tornare fin qui. A casa. Ho attraversato il mare della memoria. Limpido e ventilato e poi dopo pochi minuti cupo e melmoso. Dipende dai ricordi delle persone. Dalla barca mi sono abbassato e ho immerso la faccia nel mare. E lì ad occhi aperti ho visti i ricordi. Ho visto quelli di tutti. Anche i tuoi.
Poi ho strisciato lungo la Palude Verde. C’erano manifesti parlanti con un uomo nudo in canottiera ogni cinque metri. I manifesti con quell’uomo ripetevano continuamente: “ce l’ho duro”, “ i terroni in terronia e i torroni in torronia” e stronzate simili. Ti viene la voglia di prenderlo a calci qualcuno di quei manifesti. Ma non lo devi fare, altrimenti scatta l’allarme e ti arrestano. E ti portano in campi di rieducazione e ti fanno uscire solo se impari il “va pensiero” nel dialetto della loro lingua. Non ho preso a calci nessun cartellone e così non mi hanno preso. Però una pisciatina l’ho fatta sulla faccia di quell’uomo disegnato sul cartellone. E anche due sputi. In silenzio e senza fare rumore. Eh, uno ha da difendere anche la sua dignità in qualche modo !
Poi sono arrivato nel Deserto della Democrazia. C’erano tante montagne aride attorno. E volavano degli aerei. Volavano e lanciavano dei bigliettini. E sopra c’erano scritte tante belle parole. Dicevano che loro erano degli amici e che non bisognava preoccuparsi perchè pensavano a tutto loro. Poi sono ritornati gli aerei e hanno lanciato dei missili dal cielo. Sugli uomini. Sulle baracche della povera gente. Anche sui ragazzini che giocavano al pallone. Ho pianto tante lacrime fino a non averne più.
Poi ho preso un passaggio da un pulman di rumeni che tornava al loro paese. Non avevo i documenti e così quando è salita la polizia per un controllo, i miei compagni di viaggio mi hanno detto di parlare solo rumeno e di dare 100 euro allo sbirro. Ho fatto così e non mi hanno arrestato. Io clandestino in un pulman di immigrati rumeni. Alcune erano badanti. Altri badavano solo a dormire perchè il viaggio era lungo. Io badavo a guardare fuori dal finestrino perchè di fianco a me c’era un vecchio che se mi giravo sorrideva, ma aveva un alito di vino che mi stordiva e allora...
C.: Davvero hai fatto tutto questo per venire fin quì ?
S.: No. Sono venuto con l’auto. Col treno e poi a piedi, credo. Quello che ti ho detto l’ho sognato durante il viaggio.
C.: E perchè mi hai raccontato questa storia assurda ?
S.: E perchè mi sembra assurdo parlare per dieci minuti ad una porta chiusa ?
C.: Hai detto che hai visto...cioè ... hai sognato di vedere i ricordi di tutti.
S.: Si. E’stato meraviglioso e terrificante assieme. Ma non lo voglio rifare più.
C.: Proprio i ricordi di tutti ?
S.: Si. Anche i tuoi.
C.: E cosa hai visto ?
S.: Ti ho vista. Avevi il viso di quando eri ancora una ragazzina. Salivi su per un sentiero ripido con in braccio un fardello. Ogni volta che arrivavi in cima c’era sempre qualcuno o qualcosa che ti faceva ricadere giù. Ma tu non ti perdevi d’animo. Ti ripulivi i vestiti dalla polvere. Controllavi il tuo fagoccio e ricominciavi a salire. Qualche volta, però, ti ho vista fermarti. Voltarti e guardare giù. Ti ho vista chiudere gli occhi come se stessi per lasciarti cadere. Le lacrime ti scendevano lungo le guance rosa. Poi d’improvviso aprivi gli occhi. Guardavi la cima e ricominciavi a salire. Sempre più forte. Sempre più vicino alla vetta.
C.: Davvero ?
S.: Non lo so se è vero, ma io l’ho sognato. Adesso mi fai entrare ?
C.: No. Non posso.
S.: E perchè ?
C.: Perchè anche io ho sognato. Ti ho sognato. Eri seduto vicino a me. Potevo parlarti, sentivo il tuo odore. Parlavamo della nostra vita e di come sarebbe stato vivere assieme. Era come tanto tempo fa. Ero felice e avevo voglia di ridere. E di sentirti parlare. Le tue mani erano strette sulle mie. E io lo sentivo che mi volevi bene. Lo sentivo dalle tue mani calde. Poi è arrivato un vento forte. Gelido. Ti ho lasciato le mani e mi sono protetta il viso. E quando ho aperto gli occhi non c’eri più. Avevo freddo e tu non c’eri più vicino a me. Ti ho visto lontano. E eri.. come dire..
S.: Come ero ?
C.: Cioè, eri...
S.: Ero brutto ? Piangevo ?
C.: Morto.
S.: Come ?
C.: Eri morto. Avevi gli occhi chiusi e poi sei stato trascinato in un vortice nero. Io ti ho chiamato ma tu non mi hai sentita. E sei scomparso nel buio.
S.: Non ce la facevo a resistere a quel vento. E sentivo freddo in quel buio. Mi sentivo gli occhi pesanti e le braccia e le gambe molli. Non le riuscivo a muovere. Ho avuto freddo dove sono andato, sai ? E mi sono accorto solo stando lì di cosa sei stata veramente per me. E di quanto mi manchi. Io ti ho sentita gridare quando il vento mi ha portato via. Mi chiamavi, ma io non ce la facevo ad alzarmi.
C.: E perchè sei venuto, adesso ?
S.: Per dirti quello che non ti ho mai detto. E per conoscere il mio nome.
C.: Non lo ricordi ?
S.: No. Non sento più la tua voce adesso.
C.: Io ti ho cercato. Ho urlato tante volte il tuo nome, poi non l’ho fatto più.
S.: Da quanto sono via ?
C.: Da tanto. Troppo tempo.
S.: ... tanto tempo.
C.: ...
S.: ...
C.: Mi hai sentita chiamare il tuo nome da lì dov’eri ?
S.: Ti sentivo e la tua voce mi faceva compagnia. Poi solo il silenzio.
C.: ...
S.: Me lo sussurreresti il mio nome ? Qui. Ora.
C.: Si.
S.: Allora tu ricordi come mi chiamo.
C.: Si. Adesso lo so chi sei veramente. Vuoi entrare ?
S.: No. Non posso. Devo andare.
C.: Perchè non puoi ?
S.: Sono morto.
C.: ...
S.: ...
C.: Io ricomincerò a chiamarti adesso, lo sai ?
S.: Si.
C.: Griderò il tuo nome per sempre.
S.: ... per sempre ...
Premiscelato
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