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C'eravamo una volta
NON SO perché la mia reputazione personale in Sudafrica debba andare di pari passo con quella della nazionale, ma è così. Quando una dozzina di giorni fa sono arrivato e a domanda rispondevo di essere italiano erano sempre inchini: "Campione del mondo, eh?". Più o meno. "L'Italia è sempre forte". Qui guardano il campionato inglese, non conoscono Marchisio, per dirne uno. L'albergo mi ha concesso un upgrade gratuito e onorifico, i tassisti erano cortesi e veloci, il cielo azzurro. Poi è arrivato lo stentato pareggio con il Paraguay, che a me non rivelava niente di nuovo, ma agli indigeni sì. Li frenava ancora un dubbio, lo stesso che da oltre vent'anni sospende la stampa sportiva tra tentazione di linciaggio e timore di smentita nelle partite a seguire (la sensazione di leggera follia che induce a sondaggi tipo: Criscito può essere il nuovo Cabrini?). Per cui: "Con voi italiani non si sa mai. Partite sempre male, poi...". Poi è arrivata la partita con la Nuova Zelanda e chiunque ha visto che il re era nudo e ipodotato. Che Giardino non è il nuovo Paolo Rossi e Iaquinta è inesorabilmente Iaquinta. E' finita. Certo che si può eliminare la Slovacchia, ma l'hanno già capito tutti che poi si scende. Stamattina il tassista mi ha detto: "Italian, eh? Pizza, mafia, Berlusconi!".
(22 giugno 2010)
(repubblica.it)
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