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Ultimi giorni di cronaca da NAPOLI MONITOR aggiornamenti h24
TERZIGNO, LA NUOVA REPRESSIONE
Chi non ricorda la scena, ripresa dalle telecamere di mezzo mondo, in cui un cittadino pone la bandiera italiana a terra sotto i piedi delle forze dell’ordine impegnate a proteggere la discarica dalle proteste dei cittadini? Nessuna immagine più di quella ha simbolicamente descritto la situazione di Terzigno e dintorni nello scorso autunno: i cittadini, in massa, scesero nelle strade per impedire che continuassero gli scarichi degli autocompattatori alle falde del Vesuvio, e le forze dell’ordine vennero schierate a difesa dell’immondizia.
Quella scena – a distanza di un anno – si è concretizzata in un avviso di garanzia. Indagato quel cittadino, così come indagate sono altre trenta persone accusate di occupazione di suolo pubblico, interruzione di pubblico servizio, danneggiamento e altri reati molto gravi. Ma dove sta la verità? Chi è che delinque? Chi difende il proprio territorio e la propria salute oppure chi da oltre trent’anni inquina i territori in barba ai moniti europei?
Un dato di fatto sottolinea che i tumori nell’aerea vesuviana aumentano da anni in maniera costante e vertiginosa. Eppure, dallo scorso 4 ottobre a fare i conti con la giustizia sono i cittadini. Il movimento difesa del territorio area vesuviana ci tiene a sottolineare come appaia “quanto meno sospetta la scelta di utilizzare trentuno nomi per criminalizzare la lotta legittima di un’intera popolazione in un momento in cui una nuova crisi dei rifiuti è alle porte e la mancanza di progettualità al riguardo è ormai evidente”.
A ben leggere gli avvisi di garanzia, infatti, ci si accorge come le indagini preliminari tendano a riscontrare un disegno criminale unico messo in atto da un gruppo indefinito di persone, comunque superiore a dieci, con l’obiettivo di creare volontariamente scontri e disordini. Se da un lato, dunque, viene scardinata la tesi della presenza della camorra nella lotta contro la discarica di Terzigno, dall’altro si ha l’impressione che si voglia andare a colpire un nucleo di persone colpevolizzandole di crimini che altrimenti non sarebbero accaduti. Se questa tesi dovesse passare, la lotta per la difesa del territorio subirebbe un colpo durissimo. Chiunque ha vissuto quella stagione, sa benissimo che l’indignazione generale di un popolo e l’istinto di sopravvivenza hanno fatto nascere una reazione generale degli abitanti che, secondo il movimento, “non ha nulla di criminale ma rivendica il sacrosanto diritto a opporsi a decisioni scellerate”. In questo momento, dunque, le indagini preliminari si sono chiuse e la parola passa al pubblico ministero. Il tribunale di Torre Annunziata dovrà decidere se procedere o no nei confronti di queste trentuno persone. (alessio arpaia)
TERZIGNO, PIOVE SULLA ROTONDA
Non si può certo dire che l’inverno appena trascorso sia stato entusiasmante per la salute del popolo vesuviano, sul quale incombe la minaccia più che concreta della discarica Sari. In questi mesi il “panettone” alle falde del Vesuvio ha continuato a crescere: dagli ultimi filmati proiettati dal movimento per la difesa del dell’area vesuviana si vede chiaramente come la montagna di rifiuti continui a innalzarsi, puntando ormai alla vetta del vulcano.
Allo stesso modo, nei primi mesi del 2011, sono cresciuti anche i dissidi fra le diverse frange della protesta contro la cava. Alla fazione più estremista, tesa a rompere qualsiasi dialogo con le istituzioni, si è opposta in questo periodo una parte dei comitati che hanno invece ceduto a un tavolo tecnico con i sindaci e con il governo. Purtroppo, nonostante gli accordi firmati con i politici, la situazione non è cambiata per nulla e il movimento ha denunciato il tentativo delle istituzioni di camuffare l’immondizia di Napoli – che al momento non dovrebbe essere conferita a Terzigno – sotto forma di spazzatura tritovagliata e trattata da destinare proprio alla cava del Vesuvio.
In questo stato d’animo quanto mai confuso, il 30 marzo i cittadini vesuviani sono ritornati in strada. Pochi in verità. Saranno stati trecento. In testa gli esponenti del dialogo, in coda il movimento con i fumogeni e un grande striscione rosso con la scritta “Vesuvio in lotta”.
È stato un corteo variegato, in cui al silenzio della processione iniziale si sono contrapposti i cori di stampo antagonista provenienti dalla coda del corteo. Cori esasperati e rabbiosi, consapevoli dei miasmi che torneranno con i primi caldi primaverili e consci del fatto che ben poco è stato fatto per scongiurare un’ennesima estate di sofferenza. Non la chiusura del sito, non la bonifica, non un piano di gestione alternativo dei rifiuti. Dopo mesi e mesi di duri scontri con le istituzioni e con le forze dell’ordine, il risultato è un nulla di fatto. Complici anche i cosiddetti accordi presi negli ultimi mesi sulla pelle dei cittadini.
Una fetta della popolazione lo sa, e quando ieri sul palco si sono alternati alcuni esponenti politici locali e provinciali, dopo un attimo di titubanza alcuni presenti hanno invitato con forza i politici ad allontanarsi dalla protesta, indicandoli come gli «artefici di una devastazione del territorio in atto da trent’anni».
Durante il corteo una pioggia violenta si è abbattuta sulla folla: quasi una metafora di come la popolazione vesuviana sia oggetto di un attacco alla salute che gli abitanti dei territori vicini non percepiscono. Piove solo sulla rotonda… a Pompei, Boscotrecase, Scafati nemmeno una goccia d’acqua. (alessio arpaia)
CAVA SARI, ORDINANZE E REPRESSIONE
Il nuovo anno per i comuni di Boscoreale e Terizigno è iniziato in un silenzio assordante. Calati i riflettori sul disastro ambientale derivante dell’ormai satura discarica Sari nel parco nazionale del Vesuvio, la popolazione vesuviana subisce dall’inizio dell’anno nuove tipologie di soprusi.
Circa quindici giorni fa infatti si è appreso che l’ente parco nazionale del Vesuvio/Riserva Mab Unesco, con un’ordinanza registrata con numero di protocollo 5315 del 23 dicembre 2010 (ORD: 01/R/10), ordina e ingiunge a tutte le autorità competenti (Asia, Sapna, assessorato all’ambiente regione Campania e Ecodeco) il ripristino dello stato dei luoghi e la bonifica della cava Sari. Nell’ordinanza, alla voce “premesso che” l’Ente Parco indica chiaramente quanto trasmesso dal gestore dell’invaso Cava Sari in località Pozzelle (Asia Napoli S.p.a.) dove si legge che “gli esami effettuati hanno evidenziato superamento dei valori limitatamente al fluoro, al manganese, al nichel ed al ferro”. E dopo avere ricordato come tutte le zone in questione siano inserite in aree tutelate per legge, anche tramite il divieto esplicito di apertura e utilizzo di “cave, miniere e discariche”, l’Ente segnala che “lo stoccaggio non adeguato dei rifiuti nell’area citata ha comportato una complessa serie di impatti negativi sulle componenti ecosistemiche e sul paesaggio” finendo poi per elencare anche i possibili danni scaturenti dall’istallazione di discariche. “Di seguito si elencano le possibili conseguenze dell’inquinamento atmosferico determinato dalla emissione dei rifiuti: danni alla salute umana, alla salute degli animali, ai vegetali, effetti sul clima urbano, sul suolo, sulle acque superficiali, sulle acque sotterranee e sulla visibilità”. Per tutti questi motivi il Parco ordina e ingiunge a tutti gli enti sopra indicati “il ripristino dello stato dei luoghi e la bonifica ad horas del sito di Discarica Pozzelle 3 – ex S.A.R.I. in Terzigno, ed avvisa che qualsiasi ulteriore attività connessa e/o dipendente rispetto al contestato intervento sarà ritenuta ulteriormente lesiva del vincolo tutelato dall’Ente Parco Nazionale del Vesuvio”.
Dunque l’Ente Parco ha preso in mano la situazione, e il suo presidente Ugo Leone ha finalmente capito di dover alzare la testa per salvaguardare il parco che gestisce! Peccato, però, che a questa ordinanza non ha fatto seguito nulla di concreto, e i camion continuano a sversare indisturbati. Lo scorso ventidue febbraio infatti i comitati in difesa del territorio hanno avuto un incontro proprio con Ugo Leone, e alla precisa domanda circa il non rispetto dell’ordinanza medesima, la riposta è stata che “non c’è un nesso comprovato che la Sari sia fonte di inquinamento”. Il Presidente insomma sembra fare marcia indietro, quasi ammettendo di aver fatto una mossa azzardata e senza alcun seguito rilevante. Alle dimissioni richieste dai comitati in seguito a quest’ultima ennesima brutta figura, lo stesso Leone ribadisce di non aver alcuna intenzione di lasciare l’incarico.
Accanto a questo ennesimo atto di superficialità nei confronti dei cittadini costretti a convivere con l’inquinamento costante dell’area, oltre al fatto che nella cava Sari la situazione è ormai giunta allo stremo – al momento le ruspe sono al lavoro per costruire un nuovo “panettone” vesuviano – si vanno ad aggiungere le azioni di repressione che trovano sfogo nei processi a carico dei cittadini fermati durante gli scontri dello scorso autunno. Il 18 febbraio il tribunale di Torre Annunziata ha iniziato a celebrare i primi processi, e il Movimento difesa del territorio area vesuviana ha denunciato la “vigliacca repressione di cui tanti cittadini sono stati vittime. A Torre si è celebrata l’udienza riguardante l’episodio che ha visto il sindaco di Boscoreale fuggire vigliaccamente da una uscita secondaria del comune, a seguito di un consiglio durante il quale aveva promesso una ordinanza per bloccare i compattatori sul territorio di Boscoreale e poi (per consultarsi probabilmente con qualcuno più in alto di lui) aveva deciso di non firmare e scappare a gambe levate”. Capro espiatorio è stavolta un trentenne della zona che adesso rischia diversi anni di carcere, oltre alla botte già prese delle forze dell’ordine.
In questo contesto lo scorso 10 febbraio il Movimento, convinto di non dover fermare la stagione di protesta che durante l’inverno ha subito una pesante battuta d’arresto, ha tentato di occupare i locali della ex stazione della Circumvesuviana di Boscotrecase, ufficialmente affidati al circolo dei pensionati ma in realtà inutilizzati da mesi. Ma l’occupazione, subito denunciata dal sindaco Agnese Borrelli, non ha potuto che concludersi attorniata da numerosi reparti della Digos prontamente giunti per spegnere ogni tentativo di riappropriazione di diritti inalienabili come quello alla salute.
Ciò che, al di là di tutto, resta emblematico della scellerata gestione della questione rifiuti nel vesuviano, è il fatto che nella nota via Grotta di Boscoreale, a poco più di un chilometro dalla discarica del Vesuvio, fa bella mostra di se una enorme distesa di rifiuti indifferenziati abbandonati da ormai tre mesi; così come dei video recenti diffusi sul web dimostrano come litri e litri di percolato fuoriescano ancora da Cava Sari. (alessio arpaia)
TERZIGNO, ACCORDI E RICATTI
I primi quindici giorni del 2011 fra Terzigno e Boscoreale per strada si è trovato poco, in termini numerici, ma quel poco da un punto di vista sociale e democratico ha rappresentato tantissimo. Prima di capodanno la polizia aveva sgomberato con la forza il presidio della rotonda di via Panoramica, aveva buttato per aria donne anziane che si scaldavano vicino al fuoco cercando di controllare ciò che i camion trasportavano. La mezzanotte dei 31 dicembre alcuni presidianti l’avevano passata comunque lì e il presidio aveva ripreso forma. Lì accanto. Pochi giorni ancora e un gruppo di cittadini aveva attaccato tutti quelli che, barricati nelle case, si erano già dimenticati della tragedia che accadeva nella discarica SARI, paghi dell’accordo preso fra i sindaci e Berlusconi. Il primo a rientrare nei ranghi è stato proprio il sindaco di Boscoreale Gennaro Langella, che la mattina del 14 gennaio ha firmato un’ordinanza in cui si intimava alle forze dell’ordine di rimuovere nuovamente il presidio dalla zona della Panoramica. Proprio mentre la polizia pian piano, a detta degli abitanti del luogo, installava telecamere di ogni tipo presso la zona adiacente alle discariche Sari e Vitiello.
Nei ranghi, a quanto pare, anche l’opposizione e le opposizioni celate dietro alcune associazioni di vario colore partitico, che sempre in questi giorni hanno diffuso alcuni documenti a firma di “cittadini responsabili” invitando a permettere il normale svolgimento delle operazioni di scarico dei camion provenienti dall’aerea vesuviana. Il movimento difesa del territorio area vesuviana, proprio mercoledì 19 gennaio, visto il nuovo incendio al portone della casa comunale di Boscoreale, è intervenuto nel dibattito con una nota in cui si invita la cittadinanza a continuare a controllare l’operato delle istituzioni. Si legge tra l’altro: “… la formula di ricatto ‘qualche camion passa, qualche altro no’, a noi non piace. Non è di poco conto l’episodio che si è verificato alcuni giorni fa sulla rotonda, consistente nel sequestro di un cittadino a opera delle forze dell’ordine durante un’azione di sbarramento dei compattatori. L’attivista è stato oggetto di scambio per far sì che le operazioni di sversamento andassero a buon fine. Altro episodio grave si è verificato nella notte tra il 13 e 14 gennaio a Terzigno, quando una mamma vulcanica è stata in strattonata in malo modo dalla polizia durante un’azione di sbarramento volta a controllare il carico dei compattatori, alla presenza di pochi abitanti che erano lì a presidiare e che non hanno reagito. Sarà questo comportamento di tacito assenso la conseguenza di un accordo stipulato tra cittadini corrotti e istituzioni locali per questioni di quieto vivere? Sta di fatto che la mediazione non paga e che il ricatto mette in ginocchio la lotta”.
Dal canto suo, il sindaco Langella continua a inveire contro gli attivisti di Boscoreale, indicandoli ora come facinorosi, ora come estremisti di sinistra, o ancora come suoi avversari politici intenzionati alla scalata del potere. Lo stato di cose attuale, dunque, parla di una città di nuovo assopita dopo i cosiddetti fasti autunnali; una città in cui il freddo ha placato la puzza di immondizia e messo a dormire buona parte del cittadini. (alessio arpaia)
TERZIGNO, L'ASSEMBLEA A FARI SPENTI
Una cosa sono i cortei nazionali, una cosa è la routine di tutti i giorni.
Era sabato, e la manifestazione nazionale tenutasi a Boscoreale ha visto scatti e flash in cui tanti giornalisti della domenica si sono riversati nelle stesse strade che, spenti i riflettori, sono rimaste clamorosamente al buio. Al risalto mediatico dato dalle tante penne d’oro improvvisatesi cronisti, si è ben preso sostituito il freddo gelido ed il silenzio dei giorni successivi.
Sgomberato a forza anche il presidio, senza alcuna garanzia di legalità, ai cittadini del Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana è rimasto soltanto il fuoco per provare a scaldarsi e la voce a ricordargli di essere ancora vivi. La voce a ricordare alla stampa tutta di essere ancora presenti anche quando le macchine fotografiche ed i flash spariscono.
E’ giovedì, 16 dicembre, saranno le 22 di sera e la temperatura alla Rotonda della resistenza è sotto lo zero. Ci sono tre fuochi accesi e circa cinquanta persone che, guardate a vista dalle forze dell’ordine, non hanno ancora mollato e giurano di non mollare mai: «È un simbolo – afferma Enzo dal megafono – quello di essere ancora qui, da dove ci hanno cacciato a calci: noi ci siamo, siamo vivi e non ce ne andremo fin quando la cava SARI non sarà chiusa e bonificata».
L’assemblea ha toni forti, non è spaventata dal freddo e dalla neve che poche ore dopo arriva a portare un barlume di aria nuova in un posto dove di solito c’è soltanto umidità. I temi che affronta l’assise cittadina arrivano a mettere in chiaro che questa è una battaglia che è arrivata soltanto a metà: «I Sindaci e gli pseudo comitati sorti ad hoc, stanno vendendo, ai giornalisti più creduloni e asserviti, la chiusura della Cava Vitiello come una vittoria politica. Ma qui non c’è nulla da festeggiare e nulla da rivendicare: il mostro della SARI è ancora aperto e l’intero ciclo rifiuti è a un punto morto!». Queste le parole di un cinquantenne appena tornato dal lavoro, direttamente verso il megafono.
Ciò che è evidente è il modo in cui dal Movimento si continui a ribadire che dietro questa battaglia i cittadini comuni non hanno alcun interesse partitico né alcuna ambizioni: ciò che è in gioco è la salute e la riappropriazione degli spazi e delle vite di ciascuno.
È dura, l’assemblea va avanti fino alla mezzanotte e all’ordine del giorno ci sono la riattivazione del presidio, che proprio l’indomani verrà rimesso in sesto, la messa in campo di nuove metodologie di lotta, la partecipazione a tutte le giornate di protesta di Napoli e Roma: occorre imparare a sopravvivere e questo, giurano i manifestanti, «devono saperlo bene tutti quelli che parlano della nostra protesta senza saperne poi granchè». (alessio arpaia)
TERZIGNO, DIVIETO DI PRESIDIO
Occupazione di suolo pubblico? No, lo spazio in cui da settembre si riunisce il presidio che chiede la chiusura di cava Sari, al confine tra i comuni di Boscoreale e Terzigno, è privato. Utilizzo improprio di strutture appartenenti alla comunità? No, i gazebo sotto cui ogni notte cercano riparo i manifestanti sono privati, acquistati dagli stessi comitati dei cittadini, dopo una prima fase in cui erano stati dati in prestito un tendone del Comune e uno della Protezione civile. Intralcio alla circolazione nella rotonda di via Panoramica? No, i gazebo non sono montati in mezzo alla strada ma in uno spazio adiacente. Non si capisce quindi quale sia l’infrazione che ha portato ieri notte alla distruzione dei gazebo e del loro contenuto – sedie, poster, vettovaglie – da parte delle forze dell’ordine. L’unico reato da ipotizzare rimane quello di rimanere a contestare con ostinazione, per mesi, un sistema di smaltimento dei rifiuti dichiaratamente irresponsabile.
In serata si era sparsa la voce che qualcosa stava per succedere. La polizia era andata dalla proprietaria del terreno che ospita i gazebo, per verificare se l’occupazione fosse abusiva, ma pare che la signora avesse confermato che il presidio non le procurava alcun fastidio e che aveva dato il suo consenso all’utilizzo del terreno. Poco dopo le due di questa notte però sono arrivate tre camionette di carabinieri in tenuta antisommossa, con il supporto questa volta dei vigili del fuoco. «Sapevamo che sarebbero arrivati – racconta Patrizia – ma non potevamo immaginare la violenza e l’arroganza con cui si è svolta l’intera operazione. Un gruppo di ragazzi del presidio si è raggruppato sotto il gazebo, per scongiurare lo smantellamento, ma è stato caricato e dopo hanno cominciato a fare letteralmente a pezzi le strutture. I pompieri hanno segato i pali di ferro e tagliato accuratamente i teli, per evitare che qualcosa potesse essere utilizzato. Le sedie di plastica sono state buttate nel fuoco, quel piccolo fuoco che ci ha riscaldato in tutte queste notti e che è stato spento addirittura con un idrante, quando sarebbe bastata una bottiglia d’acqua. Chi fotografava o riprendeva è stato spinto e allontanato».
Volendo citare i soli danni materiali, oltre ai gazebo distrutti – che «erano costati mille euro in due, usati, e non è poco», dice Patrizia – c’è da mettere in conto anche un generatore, prestato al presidio dai proprietari dell’adiacente negozio “Ideal Casa”, e arbitrariamente sequestrato dalle forze dell’ordine. Nel buio della rotonda, che tolto il generatore rimane illuminata debolmente dai soli lampioni, con l’esasperazione e la rabbia che accompagnano l’intervento degli uomini in divisa, molte domande rimangono ancora una volta irrisolte. “Ma quale norma abbiamo violato?” urlano in molti. “Abbiamo avuto l’ordine”, è la sola risposta, “vi era stato detto di smobilitare la rotonda”. Intanto hanno via libera i camion che come ogni notte continuano a sversare a cava Sari; questa volta il loro passaggio non può essere impedito dai cittadini, impegnati ad assistere alla distruzione delle tende che da tre mesi simboleggiano il tentativo tenace quanto paradossale di tutelarsi da soli la salute e l’ambiente, laddove lo Stato si tira indietro. Tende che hanno offerto un rifugio temporaneo a chi si è alternato tutte le notti nella caccia agli autocompattatori, per fermarli e controllarne il contenuto, e scoprire puntualmente che trasportano rifiuti tutt’altro che secchi e inodori, come continuano ad affermare le autorità, sufficientemente smentite dalla puzza, che tranne che per brevi intervalli non ha mai smesso di attanagliare Boscoreale, Terzigno e i paesi vicini.
Il presidio è rimasto comunque in piedi alla rotonda fino alle sei di stamattina, allo scoperto e senza fuoco. Stamattina una delegazione è partita per Roma. Anche a causa degli avvenimenti di oggi forse non si è parlato molto di quello che è successo ieri notte. «Sono andata a casa sconvolta ieri notte, e pensavo che stamattina tutti ne avrebbero parlato. Ci vietano di protestare, distruggono oggetti privati su suolo privato. Ma è uscito ben poco sui giornali, e anche in paese nessuno mi sembrava scandalizzato», aggiunge Patrizia. La divisione tra i cittadini antidiscarica e il resto della popolazione, che sostiene gli inviti alla “responsabilità” lanciati dai sindaci, sui manifesti per strada, sembra ormai insanabile. Stasera, al ritorno dalla trasferta, si riuniranno di nuovo i comitati dei diversi comuni vesuviani. “Un gazebo distrutto non fermerà la protesta”, assicurano. (viola sarnelli)
BOSCOREALE, OCCUPATO IL COMUNE
Boscoreale, giovedì pomeriggio. L’assemblea dei cittadini prevista per le 17.00 in piazza Pace si trasforma, poco più di un’ora dopo, nell’occupazione del Comune; i cittadini rimangono a discutere nella sala della Giunta, al primo piano, dove una cinquantina di loro passerà anche la notte. Appena presa la decisione di occupare arriva intorno alle 19.00, con notevole tempismo, una notizia che diffonde nuove preoccupazioni tra chi protesta: il presidente Napolitano non ha firmato il decreto legge all’interno del quale si cancella cava Vitiello (insieme ad Andretta e Serre) dalla lista delle possibili discariche future. Anche l’unico risultato istituzionale che sembrava raggiunto finora, una limitazione dei danni al funzionamento di una sola discarica in area vesuviana, sembra quindi più che mai precario. Oggi pomeriggio intanto, alle 18.30, alla rotonda Panoramica è atteso il prof. Paul Connett dell’università St. Lawrence (NY), il teorico del sistema “rifiuti zero”, che insieme a Rossano Ercolini della rete “rifiuti zero Italia” dimostrerà ancora una volta come in piccoli, medi e grandi comuni la riduzione dei rifiuti a monte e il riciclaggio quasi totale della parte rimanente si sia dimostrata una strategia conveniente sia dal punto di vista economico che ambientale.
Il primo obiettivo dei cittadini di Boscoreale chiusi da ieri sera nel Comune è ottenere dal sindaco Gennaro Langella un nuovo provvedimento per impedire il transito agli autocompattatori sul territorio di Boscoreale. Il sindaco, com’è noto, aveva ritirato l’ordinanza la settimana scorsa in seguito all’apertura di un indagine della Procura di Nola sul suo collega di Terzigno, Domenico Auricchio, che aveva innescato un crescendo di pressioni politiche e mediatiche portando i sindaci a rientrare velocemente in acque filogovernative. D’altra parte la scelta sembrava comprensibile pur se non condivisibile, dal momento che il fascicolo aperto su Auricchio ipotizzava due reati non da poco: interruzione di pubblico servizio e procurato allarme riguardo ai possibili pericoli incombenti sulla salute dei suoi concittadini. Peccato che quel fascicolo sembra non essere mai esistito, e che la Procura non abbia mai aperto alcuna indagine effettiva. «Il procuratore Paolo Mancuso si è limitato a chiedere documentazioni e chiarimenti sulle motivazioni che hanno portato Auricchio a emettere l’ordinanza», spiega Enzo del movimento per la difesa del territorio vesuviano. «La sola minaccia di una possibile indagine è stata però sufficiente, grazie all’interpretazione amplificata che ne è stata data dai giornali e dalle televisioni, a spingere i sindaci al ritiro delle ordinanze».
La richiesta rimane quindi quella di una chiusura immediata e di una conseguente bonifica di cava Sari, che da una settimana ha ripreso ad accogliere i rifiuti dei diciotto comuni con effetti più che tangibili – l’aria è di nuovo irrespirabile. «Rimaniamo in assemblea permanente fino a che il sindaco non prenderà un nuovo provvedimento per tutelare la nostra salute», dice un signore di mezza età a conclusione dell’assemblea nella sala della giunta. Dalla ripresa degli sversamenti infatti non si è più parlato di nessuna soluzione, temporanea o a lungo termine, volta a risolvere l’evidente malfunzionamento della discarica, e l’avvilimento e la determinazione vanno di pari passo tra chi continua a fare i turni di notte alla rotonda Panoramica. «Controlliamo il contenuto di tutti i camion diretti alla discarica, per lo meno di quelli che si fermano; molti arrivano imboccando la curva a cento all’ora», racconta Patrizia. «Certo non dovremmo essere noi a controllare tutti i giorni e tutte le notti il passaggio degli autocompattatori, confrontando le targhe con gli elenchi dei mezzi autorizzati dai comuni vesuviani. Capita di fare anche tre, quattro turni di notte a settimana, smontando la mattina alle sette giusto in tempo per andare a preparare la colazione ai figli e portarli a scuola».
Nonostante tutto la partecipazione è indubbiamente calata rispetto alle settimane precedenti. «Una parte dei nostri compaesani ha creduto ancora una volta alle promesse delle istituzioni», dice Patrizia, «e anzi ci ha accusato di avere usato violenza fisica contro il sindaco nel corso dell’ultimo consiglio comunale. Eppure è chiaro che stanno ampliando la discarica invece di chiuderla, il gestore di un maneggio sopra la cava sostiene di avere già sentito l’esplosione delle mine; puntano a farla durare ancora quattro o cinque anni, non pochi mesi come dicono». Un altro episodio che ha visto in difficoltà i cittadini mobilitati contro la discarica è stato l’incidente di lunedì scorso, quando tre persone sono state investite da un camion che attraversava la rotonda a velocità sostenuta. La polizia continua a sostenere che fosse un camioncino di dimensioni ridotte, piuttosto che un autocompattatore standard diretto verso la discarica a mezzogiorno, in orario non consentito. «Ci sono più di trenta testimoni che assicurano il contario; in più la targa di quel camion risulta appartenere ad una macchina sequestrata», sostiene Patrizia.
La notizia che Napolitano non ha firmato il decreto sui rifiuti arriva nel bel mezzo dell’assemblea, viene letta sui cellulari e poco dopo su un computer portatile portato nella sala per scrivere il comunicato da mandare ai giornali. «E’ la prima volta che Napolitano entra nel merito di un decreto legge, non è certo suo compito, è una cosa gravissima», dice un docente membro del comitato cittadino. C’è chi invece interpreta l’azione del presidente della repubblica più come un segnale politico, una spallata al governo in carica. Secondo quanto diffuso da fonti giornalistiche Napolitano chiede chiarimenti su tre punti; il più sentito a Boscoreale e Terzigno è quello con cui il presidente evidenzia come alla cancellazione di tre delle discariche previste dalla legge 123 (cava Vitiello, Valle della Masseria e Andretta) non corrisponda l’individuazione di “alternative idonee”. Altre riserve riguardano la possibilità per i comuni di gestire i rifiuti fino al 2011, piuttosto che trasferire l’incarico alle province, come previsto; e l’opportunità di attribuire nuove funzioni di sottosegretario ai commissari che dovranno realizzare i termovalorizzatori permettendo ancora una volta di agire in deroga alle normali procedure – funzioni che verranno in ogni caso assegnate con la dichiarazione dello stato di emergenza, che secondo alcuni giornali potrebbe arrivare stesso oggi da parte di Berlusconi, atteso alle 17 in prefettura a Napoli.
Intanto i cittadini srotolano uno striscione dal balcone della sala della giunta, che dà sull’entrata dell’edificio a piazza Pace,“la nostra terra avete distrutto”, mentre altri sono in preparazione nel corridoio antistante. Arriva una signora con un pacco di cioccolatini da distribuire ai presenti: l’attesa sarà lunga, meglio addolcirla. (viola sarnelli)
CAVA SARI NON E' PERICOLOSA?
Sono ufficialmente annullate da ieri le ordinanze firmate nei giorni scorsi dai sindaci di Terzigno e di Boscoreale che vietavano, rispettivamente, lo sversamento dei rifiuti a cava Sari e il transito degli autocompattatori diretti alla cava. È il risultato ottenuto da interventi politici e giudiziari che hanno ribadito l’infondatezza dell’allarme legato alle sostanze inquinanti riscontrate più volte, e da tecnici diversi, nelle falde acquifere e nei terreni adiacenti alla cava. Gli sversamenti possono quindi riprendere. Dalla trascrizione di una seduta della commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, diffusa dai comitati, emerge però che le preoccupazioni sull’inquinamento dell’area sarebbero in realtà condivise dagli stessi magistrati che le hanno negate pubblicamente, e che sperano che di questi dati “non venga a diffondersi notizia nella cittadinanza”.
Giovedì 18 novembre il consiglio dei ministri aveva approvato “misure volte ad accelerare la realizzazione di termovalorizzatori”; misure che prevedono, ancora una volta, “l’attribuzione al presidente della Regione di poteri commissariali”. Il presidente-commissario potrà disporre stavolta, “per la copertura degli oneri per l’impiantistica e le misure di compensazione ambientale”, di centocinquanta milioni di euro stanziati dai Fas (fondi per le aree sottosviluppate) destinati alle regioni. Viene inoltre prolungata fino al 31 dicembre 2011 la possibilità per i comuni di continuare a gestire la raccolta dei rifiuti che per legge doveva passare alle Province entro la fine di quest’anno. Lo stesso decreto contiene la cancellazione delle discariche di cava Vitiello (Terzigno), Andretta eValle della Masseria (Serre) dall’elenco dei siti individuati nella legge 123/2008. «Com’è noto il decreto dovrà essere convertito in legge in un tempo massimo di sessanta giorni, altrimenti decadrà: considerando che oggi è il 20 novembre, e che il 14 dicembre il governo potrebbe cadere… non ci sentiamo in una botte di ferro», dice una cittadina di Boscoreale.
Sempre il 18 novembre arriva a Terzigno il segnale che il vento sta cambiando, dopo la chiusura temporanea della discarica. La procura di Nola rende noto infatti che il sindaco Auricchio, in seguito alla stessa ordinanza che vieta agli autocompattatori di sversare i rifiuti a cava Sari, è indagato non solo per “interruzione di pubblico servizio”, ma anche per “procurato allarme”. L’ordinanza era stata scritta durante il consiglio comunale straordinario del 13 novembre, insieme agli avvocati che stanno offrendo sostegno legale ai comitati, certi che il sindaco potesse intervenire per “gravi ragioni di salute pubblica”. La procura di Nola sostiene che tra l’inquinamento delle falde e la presenza dell’attuale discarica non c’è collegamento. È quello che gli stessi comitati di Terzigno e Boscoreale hanno sottolineato più volte, evidenziando come l’inquinamento della falda profonda sia da attribuire alle gestioni precedenti della discarica, che per trent’anni ha accolto rifiuti industriali e tossici; ma la procura si spinge oltre, ipotizzando che un’ulteriore carico di rifiuti indifferenziati, come quello conferito negli ultimi mesi e ripreso da ieri, possa migliorare le condizioni preesistenti e promuovere magari un auto-bonifica delle falde acquifere.
Ancora giovedì 18, di sera, la polizia rivela di avere ritrovato due bombe a mano nei pressi della cava, due ordigni “di fabbricazione jugoslava”. «Non abbiamo dubbi – dichiara il capo della Digos di Napoli Filippo Bonfiglio, come riportato da La Repubblica – che le bombe siano da collegare ai gruppi violenti della contestazione anti-discarica».
Ieri sera il consiglio comunale di Terzigno ha letto la revoca con cui il sindaco Auricchio torna sui suoi passi: gli autocompattatori possono tornare a sversare in cava Sari. «Questi amministratori non sono in grado di gestire la situazione», dicono i gruppi civici di Terzigno, che hanno abbandonato l’aula in segno di protesta. Prima di farlo però uno dei presenti ha letto pubblicamente le trascrizioni di una riunione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Questi documenti, sconosciuti fino a oggi e messi agli atti dal consiglio comunale, raccolgono dichiarazioni del procuratore Paolo Mancuso di Nola, lo stesso responsabile dell’indagine sul sindaco Auricchio, che ammette numerose incongruenze riguardanti la gestione di cava Sari.
Alla commissione, riunitasi il 5 ottobre scorso, nella versione diffusa ieri dai comitati, Mancuso avrebbe dichiarato che “[…] se si riferisce a cava Sari […] la provincia di Napoli, nella persona del dirigente, l’ingegnere Celano […] ha trovato una serie di inadempienze anche abbastanza gravi e significative per quanto riguarda il pericolo di infiltrazione nel terreno dei reflui, di percolati vari e così via”. […] Io spero che di tutto questo non venga a diffondersi notizia nella cittadinanza. Lei sa quale densità di abitanti, insieme ad altri insediamenti produttivi altrettanto inquinanti, vive in quel posto”. (il testo integrale è consultabile sul blog del movimento difesa area vesuviana).
Lo stesso Mancuso che un mese e mezzo dopo, il 18 novembre, ha asserito con decisione che cava Sari non rappresenta un pericolo per la salute della cittadinanza. Al di là delle dichiarazioni estemporanee, nessun tecnico dell’Arpac o dell’Asl ha messo finora la firma su un documento che certifichi e garantisca la mancanza di pericolo per la salute dei cittadini. “Il pericolo c’è e non è certo un semplice problema di ‘puzza’, per quanto insopportabile”, dice il comunicato diffuso ieri dal movimento. “Se la cava Vitiello rappresentava un pericolo per il futuro, la discarica Sari e le altre non bonificate sono il pericolo di oggi. Rischia di essere allargata e continuerà a ricevere rifiuti di ogni sorta”. (viola sarnelli)
BOSCOREALE, PROTESTE E SINDACO IN FUGA
Alla fine il sindaco Gennaro Langella ha firmato stamattina l’ordinanza che vieta il passaggio degli autocompattatori diretti a cava Sari sul territorio di Boscoreale. Una decisione che arriva però dopo una lunga notte di scontri e tensioni tra i cittadini e l’amministrazione. Il bilancio di ieri notte include infatti un sindaco in fuga, che si rifiuta di firmare un’ordinanza alla fine di un consiglio comunale straordinario sulle discariche sul Vesuvio, all’una di notte; i cittadini che lo inseguono circondando la sua macchina per un’ora, fino all’intervento di un sufficiente numero di forze dell’ordine. Un lunotto posteriore rotto, l’arresto di un manifestante, Giovanni Paduano, che sarà processato in giornata per direttissima; molti elettori che chiedono le dimissioni del sindaco. Quello di ieri a Boscoreale era uno scenario notturno ai confini della realtà, in cui i cittadini esasperati hanno chiesto al sindaco interventi tangibili ma anche simbolici. Dopo quattro ore di discussione e un’ora di attesa per la scrittura della delibera del consiglio comunale, il risultato è una semplice mozione e non un’ordinanza; il sindaco mette tutti a tacere affermando che l’ordinanza sarebbe arrivata questa mattina, si impunta prendendo una decisione impopolare quanto anacronistica: rifiutarsi di dare spiegazioni. Ma non è più possibile rifiutarsi di motivare le proprie scelte e non rendere trasparente l’iter burocratico, come ha fatto ieri sera Gennaro Langella e come continuano a fare tutte le istituzioni politiche campane, in un momento storico in cui la cittadinanza ha – finalmente – l’urgenza di essere informata sugli interventi che riguardano vivibilità e salute.
Il consiglio comunale a Boscoreale era cominciato alle 20.35 in un’atmosfera di grande tensione. Poco prima dell’inizio era arrivata la notizia che il prefetto aveva fatto pressioni sul sindaco di Terzigno, Domenico Auricchio, affinché revocasse l’ordinanza emessa due giorni prima, con la quale aveva vietato lo sversamento dei rifiuti a cava Sari. La pressione da rifiuti sta crescendo infatti anche in tutti i paesi vesuviani, ma il prefetto sembra non volersi prendere la responsabilità piena – date anche le recenti inchieste su epidemie colpose – di cancellare l’ordinanza, vista come vittoria temporanea della volontà popolare, strumento di difesa utilizzabile dai cittadini che in questi giorni hanno continuato a presidiare giorno e notte l’accesso alla discarica. «Abbiamo fermato tre autocompattatori che cercavano di sversare, dicendo di non essere a corrente del fermo», raccontano le donne alla rotonda. «Se viene annullata l’ordinanza di Terzigno, la facciamo noi stasera a Boscoreale!» dicono molti dei cittadini che affollano, come mai in precedenza, l’aula del consiglio comunale – uomini, donne, giovani, anziani e qualche bambino. Il sindaco di Boscoreale non ha il potere di interdire l’uso della discarica, che non ricade nel suo territorio; ma può vietare il passaggio degli autocompattatori. Un provvedimento che, seppure temporaneo – cioè a rischio di annullamento quasi immediato da parte del prefetto, come è già accaduto – avrebbe comunque un valore in questa guerra da combattere anche a colpi di decreti e ordinanze. I cittadini hanno soprattutto bisogno di sapere, dopo settimane di turni notturni alla rotonda, «chi sarà con noi in strada a controllare gli autocompattatori? Chi ci tutela?», come chiede al sindaco una delle mamme vulcaniche.
In apertura il sindaco propone le sue ragiorni: «L’accordo firmato con il governo ci ha permesso di ottenere due risultati. Abbiamo evitato l’apertura di cava Vitiello e abbiamo ottenuto l’accesso all’area della discarica, prima inaccessibile in quanto zona militare, per poter fare le analisi necessarie ad appurare l’inquinamento della falda. I risultati delle analisi sono stati consegnati con un esposto alla Procura di Nola. Nei prossimi giorni aspettiamo un sopralluogo dei tecnici della Protezione civile». Partono i fischi e comincia un confronto serrato che molti aspettano da settimane. Si comincia con lo scontro di dati sulla capienza complessiva della discarica. «Seicento tonnellate al giorno», dice il sindaco, e poi si corregge: «Un totale di seicentomila tonnellate». Altri dicono cifre maggiori, ma sono tutti d’accordo che le cifre previste dai piani originari non rispecchiano né la quantità né la qualità di rifiuti contenuti. «Chi ha sbagliato deve ammetterlo, chi doveva proteggerci ci ha tradito», dicono diverse voci al microfono. Il tecnico che per conto del comune di Boscoreale ha svolto le analisi sulla falda, Michele Moscariello, aggiorna i concittadini sullo stato della discarica: «Oltre al terreno vegetale stanno utilizzando anche materiale risultante dalla demolizione di costruzioni per ricoprire i rifiuti. Il biogas prodotto dai rifiuti nella discarica non riesce a essere smaltito dall’impianto, tarato per una quantità minore; e bisogna ancora studiare l’effetto che può derivare dai gas data la presenza di rifiuti non solo urbani. Il percolato non è smaltito correttamente perché manca un impianto fognario e quindi viene riversato in discarica in forma solida». Scatta l’insofferenza ai troppi dati, potenzialmente dispersivi: «Inutile impelagarsi in discussioni sulla capacità e la durata della discarica. La gente a casa non dorme più e i danni sono evidenti a tutti. I tribunali ci metteranno anni ad accertarli, ma noi siamo più avanti. Non imputiamo a Lei, sindaco, le maggiori colpe, ma dobbiamo capirci: Lei è con la gente o contro?», dice Enzo. «La situazione di invivibilità di per sé basta a determinare la chiusura della discarica; lasciamo che le analisi e i tavoli tecnici abbiano la loro vita parallela», aggiunge lo zoologo Angelo Genovese. C’è un trambusto continuo. «Non dovevi firmare!», urlano in molti al sindaco, riferendosi all’accordo con Berlusconi e Bertolaso. «Firma!», dicono altri, riferendosi all’ordinanza per vietare il transito dei compattatori. Le mamme vulcaniche sono in prima fila, con la maglietta rossa; una divisa, spiegano, riservata solo a quelle che si sono davvero impegnate giorno e notte in prima fila. Una di loro regge un cartoncino con su scritto: “Silenzio!”. E dall’altra parte, ironica: “Fate parlare il sindaco!”.
Alla fine, dopo quattro ore di interventi più o meno incisivi, in cui emerge soprattutto l’evidente insostenibilità della situazione e l’inadeguatezza dei consiglieri comunali che rappresentano una cittadinanza al contrario decisa e chiara nelle sue richieste, il sindaco Langella, incalzato da più parti, cede sulla possibilità di redigere un documento in cui dichiarare esplicitamente il sostegno all’ordinanza del sindaco di Terzigno, la volontà di chiusura della discarica Sari e l’immediata bonifica dei territori circostanti, nonché il divieto di passaggio, “a titolo cautelativo”, di compattatori carichi di rifiuti sul territorio comunale. Sembra tutto si sia concluso nel migliore dei modi. Molti si allontanano per fumare una sigaretta o prendere un caffè, e dopo un’ora il segretario legge il verbale della delibera del consiglio comunale. Tutti sono soddisfatti, ma dopo la lettura qualcuno comincia a chiedere l’ordinanza che dovrebbe seguire alla delibera, necessaria per rendere esecutive le decisioni. Langella sbotta infastidito: «Basta, l’ordinanza l’avrete domani mattina, adesso me ne vado a casa». Un consigliere dell’opposizione chiede di spiegare per lo meno se ci sono impedimenti burocratici all’emissione immediata dell’ordinanza. Ma il sindaco si alza e se ne va. Una signora di Terzigno esclama: «Caspita, questo è più tosto del nostro!», riferendosi al loro sindaco. Comincia il finimondo, Langella viene seguito e bloccato per un’ora all’interno della sua auto, di fronte all’ingresso del Comune. Le mamme e le nonne agguerrite sono in prima fila, immobili, non demordono. Qualcuno più esaltato si fa prendere la mano e rompe il lunotto posteriore della macchina. C’è chi dice che «il sindaco ha solo un brutto carattere, se il problema è che l’ufficio di segreteria a quest’ora è chiuso bastava firmare l’ordinanza stasera e poi domani mattina si faceva protocollare». Altri suggeriscono che «ha rimandato la decisione a domani perché chissà stasera a chi deve chiedere il permesso, a Silvio o al prefetto?».
La macchina di Langella, scortata, riesce ad allontanarsi; una cinquantina dei trecento manifestanti rimasti si dirigono alla caserma dei carabinieri, dove sostano una mezz’ora chiedendo il rilascio dell’uomo arrestato. I vicoletti verso la caserma di Boscoreale sono stretti, le strade alternano scie d’acqua piovana a sacchetti di immondizia, i blindati della polizia, che sembra stiano scortando i manifestanti, fanno una gran fatica a passare e schiacciano come un rullo compressore l’immondizia.
A Boscoreale, come aTerzigno, regna un’aria di generale abbandono. «Molti negozi stanno chiudendo, la gente si trasferisce ad abitare altrove», spiega una signora alla rotonda Panoramica. C’è chi dice che anche i ristoranti su via Panoramica da mesi non paghino più il pizzo alla camorra di Torre Annunziata, perché è conclamata la mancanza di clienti. Strutture enormi, kitsch e barocche come parchi giochi, sono chiuse a luci spente oppure aperte ma inesorabilmente vuote. La puzza resiste e si fa più insistente la sera, «a causa dell’abbassamento della pressione atmosferica», spiega il chimico Moscariello. Nonostante tutto però la rotonda rimane presidiata giorno e notte, i camion che provano a passare vengono fermati per ora ancora con l’ordinanza di Auricchio; i turni sono serrati, la solidarietà è massima tra le famiglie che si alternano tra la piazza e la cura dei figli e delle case. Alla fine del consiglio c’è chi scatta a dare il cambio: un’altra notte alla rotonda davanti al fuoco, o sotto ai gazebi nuovi comprati stavolta direttamente dal comitato, per sostituire quelli prestati in precedenza dal sindaco e dalla Protezione civile, il cui affitto era risultato troppo caro. (viola sarnelli/emma ferulano)
TERZIGNO: DIVIETO DI SVERSARE NELLA CAVA SARI
Boscoreale, giovedì 11 novembre. Nuova assemblea pubblica, dopo l’exploit che la protesta vesuviana aveva raggiunto nei giorni passati. Nuova assemblea perché… Perché non è cambiato assolutamente nulla dalla venuta del duo Berlusconi-Bertolaso. Ancora nessun decreto è stato firmato per l’eliminazione della cava Vitiello dal novero delle buche “papabili”, e contemporaneamente gli sversamenti nella più pericolosa cava Sari sono ripresi, tra frazione secca e, di certo, anche quella umida e indifferenziata. Risultato? Puzza, puzza e ancora puzza. O meglio, come dice il premier, “miasmi”.
Un’assemblea che si tiene all’indomani della diffusione dei nuovi dati sull’inquinamento della falda, in cui si evidenzia anche come siano state condotte le precedenti analisi sui dati raccolti dall’Arpac nel 2009, che avrebbero dovuto portare alla chiusura della discarica già da allora. A sentire il movimento in difesa del territorio dell’area vesuviana, “è l’ennesima truffa ai danni delle popolazioni. L’inquinamento della falda acquifera di cui si discute era già noto, oltre che evidente. Uno sversatoio che ha funzionato per vent’anni – sempre la Sari, già utilizzata fino al 1995, ndr – pieno di materiali tossici provenienti dall’Acna di Cengio, poteva mai purificare il territorio? E i nuovi carichi di rifiuti indifferenziati potevano mai non aggravare una situazione già compromessa fino al midollo?”.
Dunque è evidente che il presidio di Terzigno non ha alcuna intenzione di fermarsi, anche se le posizioni sono molto diverse da quelle di un paio di settimane fa. I sindaci infatti, Langella in testa, sembrano essere pienamente rientrati nei ranghi dei loro rispettivi partiti. Proprio il primo cittadino boschese ha affermato che «non ci sono problemi con la Sari, e sarò io stesso a scortare i camion fin dentro la discarica». Ma come? Proprio lui che voleva morire di fame e strappare la tessera del Popolo delle libertà? Eppure, insieme a lui, in tanti hanno lasciato la strada e nelle piazze sono rimasti solo i comitati. Quello che ancora emoziona, nonostante tutto, è la consapevolezza che chi rimane in piazza dimostra di avere acquisito: i volantini che il movimento faticava a distribuire un anno fa, oggi vanno a ruba; la gente ha sete di conoscere nei dettagli ciò che prima ignorava. Alla rotonda ormai tutti sanno quello che il movimento ha diffuso dopo la pubblicazione delle analisi, cioè che “la legge 156/06 art.242, che impone al gestore del sito in questione e ai sindaci, tutori della salute pubblica, di chiudere e bonificare il luogo dello scempio nel giro di ventiquattro ore una volta riscontrato il danno, è stata del tutto violata”.
Questo è il tipo di informazioni che da anni non arrivava più alla gente, la conoscenza dello stato dei fatti che ieri ha portato centinaia di cittadini a imporre al consiglio comunale di Terzigno un’ordinanza con cui si vieta ai comuni vesuviani di sversare all’interno dell’ormai satura discarica Sari – almeno finchè la prefettura non farà annullare la decisione. Questa stessa consapevolezza domani, lunedì 15 novembre porterà altra gente su alla rotonda per affrontare un dibattito sulla Protezione civile, “Dall’Aquila a Terzigno”. Un passo alla volta, i cittadini, almeno quelli svincolati dalle logiche di partito, stanno iniziando a prendere coscienza dei loro diritti. Sembra un’utopia. Per il momento, in fondo, lo è. (alessio arpaia)
IL REGISTRO TUMORI CHE ANCORA NON C'è
Il 4 novembre mattina partono tre diversi blitz presso le sedi delle Asl Napoli 1 e Napoli 2, a Scampia, Mugnano e Giugliano; brevi occupazioni simboliche e striscioni con cui i comitati antidiscarica delle tre zone riportano l’attenzione sulla mancanza di un registro dei tumori regionale in Campania. Un registro in realtà esiste dal 1995, ma riguarda solo trentacinque comuni della provincia di Napoli; quelli compresi nell’attuale Asl Napoli 3 Sud (ex Napoli 4 e 5) ; sul totale dei novantadue che la compongono. I dati delle altre aree della Regione vengono estrapolati dall’unico registro disponibile, «ma è evidente che manca il principio di omogeneità presupposto da questa operazione: il Cilento e Villa Literno hanno poco in comune», sottolinea l’oncologo e tossicologo Antonio Marfella. «Non è mai stato attivato un registro nella provincia di Caserta, nonostante la maggior parte dei reati ambientali avvenga in questa zona, nè nelle altre province. In più, gli ultimi dati raccolti dal registro dell’Asl Napoli 3 Sud riguardano il 2007».
Dopo il picco della crisi dei rifiuti del 2007/2008 non sono più state raccolte nè diffuse informazioni sullo sviluppo e la tipologia dei tumori nella zona. «I tumori più diffusi in Campania sono quelli alla tiroide, al cervello, al fegato, ai polmoni. Entro certi margini ci può essere un’incidenza delle cattive abitudini individuali, ma nel caso della tiroide il problema è decisamente ambientale», sostiene Marfella. Eppure pare che proprio nel 2007 la Regione avesse stanziato una cifra considerevole, due milioni e mezzo di euro, per istituire un registro tumori in tutte le province, come è di prassi nelle altre regioni italiane, poi destinati altrove. Ma i costi per installare un registro in ogni dipartimento di prevenzione delle Asl non sarebbero proibitivi: «Si tratta di circa centocinquantamila euro annui, una cifra tutto sommato contenuta», spega Marfella.
Nonostante non siano mancati i segnali d’allarme negli ultimi anni – e non si tratta solo degli studi apparsi su riviste estere o dell’allarme lanciato dalla marina militare statunitense, è sufficiente il numero di discariche di rifiuti tossici individuate finora – le istituzioni campane non hanno mai diffuso dati sull’inquinamento. Un contesto in cui manca da sempre non solo «il principio di precauzione nei riguardi delle popolazioni residenti», sottolinea Marfella, ma la stessa «volontà di conoscere l’entità di un danno che andrebbe a quel punto inevitabilmente affrontato». L’ultimo tentativo in cui molti avevano sperato, lo studio Sebiorec, sembra essere miseramente naufragato. Il progetto, commissionato dalla Regione Campania nel 2007 a un gruppo di ricercatori del Cnr e dell’Istituto Superiore di Sanità, prevedeva l’analisi di ottocentoquaranta campioni di sangue e settanta di latte materno in sedici comuni delle province di Napoli e Caserta, aree caratterizzate da un diverso grado di inquinamento da rifiuti. Le analisi sono state consegnate al committente, ma non si sa se e quando verranno diffuse; inoltre, molti hanno sollevato dubbi sul metodo dell’indagine, che ha proceduto accorpando i campioni di sangue e latte per gruppi di dieci, piuttosto che analizzarli singolarmente. «Su Sebiorec c’è stato un question-time alla Regione a settembre, e l’assessore Romano aveva dichiarato che i risultati dello studio sarebbero stati resi noti al pubblico entro il 13 ottobre», racconta Marfella. «Quella data evidentemente è passata, e non se ne avuta più notizia. Da quello che è trapelato ufficiosamente, comunque, i risultati sarebbero “tranquillizzanti”. Ma sembra che lo studio sia stato disegnato apposta per questo. In un territorio in cui le contaminazioni hanno una collocazione disomogenea e punti di estrema criticità, con concentrazioni di diossina anche diecimila volte superiori alla norma, come risultà già da analisi dei primi anni Novanta, andavano fatte analisi individuali, non di gruppo. Ad Acerra finora non è stato ancora interdetto un solo metro quadro di terra alle coltivazioni. Ma la mancanza di analisi conoscitive è un problema generale, che non riguarda solo i rifiuti. Basta pensare all’esempio della cocaina: in tutta Europa sono cresciuti enormemente i consumi, e questo lo si è potuto determinare perchè in molte città europee e italiane, come a Milano, sono state analizzate le acque fognarie. Napoli è la città dalla quale entrano in Europa tutti i principali carichi di cocaina, ma non si è osato neanche pensare di procedere a un’analisi. Eppure le competenze ci sono, con sette università in regione».
Ad aggravare il quadro c’è la composizione del flusso dei rifiuti che vanno smaltiti in regione. «Il discorso è incentrato sui soli rifiuti urbani, dimenticando quelli industriali che vengono da dentro e fuori la regione, pur volendo parlare solo dei transiti legali, e che fanno passare dai due milioni e ottocentomila tonnellate di rifiuti urbani a un totale di circa sette milioni di tonnellate di spazzatura mista a scorie da smaltire ogni anno in Campania. Quelli che riescono a fare “rifiuti zero” in Veneto non dicono che i loro rifiuti tossici continuano a essere smaltiti fuori regione, ritrovati poi magari a Castel Volturno. La priorità è separare i flussi dei rifiuti urbani e industriali, e capire che fine stanno facendo attualmente i rifiuti “non urbani”. La grande quantità di rifiuti di composizione mista in entrata rende anche impossibile costruire, per esempio, impianti di incenerimento di dimensioni normali.Volendo provocatoriamente sostenere per un attimo l’impiego degli inceneritori, per Napoli basterebbe un impianto come quello di Vienna, da duecento tonnellate al giorno. Ma con tutto quello che c’è da smaltire non lo faranno mai così picccolo!».
Sebbene la qualità e la quantità delle informazioni diffuse tra cittadini e comitati sia cresciuta di molto in questi ultimi anni, rimane ancora impossibile ottenere alcunché dalle istituzioni regionali. «Negli anni passati c’era un problema di sottovalutazione; oggi nessuno nega più il problema ma non vogliono farne conoscere l’entità», dice Marfella. «Come Medici per l’ambiente non vogliamo saltare il livello istituzionale, vogliamo solo costringere chi deve a fare il proprio lavoro. In questi giorni cominceremo una nuova campagna, questa volta con il sostegno dell’Ordine dei medici, nell’area coperta dall’unico registro tumori attivo, e in particolare nella zona vesuviana. Ai medici di base verranno distribuiti dei formulari da dare ai pazienti, con i quali ognuno potrà fare richiesta per essere iscritto al registro, dando il consenso al trattamento dei dati personali, con il supporto di un avvocato penalista che seguirà la campagna. Nelle altre zone dove non esiste un registro tumori cercheremo di mobilitare i medici di base, per spingere chi ha responsabilità a prendersele, e chi le ha usate male a pagare, dato che finora hanno pagato solo i cittadini». (vs)
RIFIUTI, DEMOCRAZIA E PARTECIPAZIONE
Agire per il bene comune e avere le competenze per farlo. Senza queste due qualità, i tentativi di approntare piani di gestione per il ciclo dei rifiuti sono solo paraventi per altri scopi. Sarà che ci abituano a considerare la partecipazione una prerogativa dei quiz e dei grandi fratelli, ma vige un’ignoranza generalizzata delle proposte intelligenti che, partecipando, nascono dal basso. Il disastro dei rifiuti in Campania, tra i suoi infiniti mali, è innegabilmente anche un momento di presa di coscienza, coatta, per gli autoctoni che vivevano la loro terra senza in fondo conoscerla. Ora non è più permesso, è necessario prendere posizione. E se una parte della cittadinanza e dei funzionari si affida speranzosa alle soluzioni portate avanti, con la forza, dal governo centrale, una schiera nutrita di nuovi soggetti politici fa rete, si informa, avanza alternative, scende in strada, va in campagna, e all’occorrenza si oppone con i corpi agli attacchi alla salute e alle gestioni scellerate del problema immondizia, percependone gli effetti sulla propria pelle.
Non a caso i comitati per la difesa dell’ambiente si moltiplicano in Italia, e le zone in cui l’abitante (ri)diventa cittadino coincidono con aree in cui convergono criticità ecologiche e interessi economici. Così che per fare chiarezza sul “movimento di popolo” sotto i nostri occhi in Campania, sui “facinorosi” e sugli “allarmisti” locali che osano opporre alternative ai piani governativi, è salutare gettare uno sguardo a esperienze simili in altre parti d’Italia. Andiamo a Brescia, per esempio, sede della multiservizi A2A, azienda che gestisce l’inceneritore locale e il “gioellino” di Acerra. Il fiore all’occhiello della cosiddetta “termovalorizzazione” italiana viene analizzato dai comitati ambientalisti bresciani da diversi anni, con il supporto di ingegneri, chimici e avvocati. I buoni cittadini di Brescia hanno scritto nero su bianco in un documento le “cose che non vanno nell’inceneritore Asm-A2A”, in risposta al Rapporto OTU 2006/2007 che ha avuto l’imprimatur dell’amministrazione locale e dell’azienda.
Prima di tutto viene messo in luce come i controlli effettuati dal comune di Brescia sulle emissioni dell’inceneritore appaiano quanto meno opinabili, in quanto il comune detiene il 27,5% delle azioni dell’azienda proprietaria A2A. Inoltre, si sottolinea come il tanto sbandierato premio di efficienza concesso dalla Wtert della Columbia University, provenga da un’agenzia sponsorizzata dalla stessa Martin GmbH, azienda tedesca produttrice dell’impianto Asm, configurando anche qui un chiaro conflitto di interessi. Ma le analisi dei comitati si fanno più rilevanti quando evidenziano gli sforamenti continui dei limiti di legge per le emissioni di PCB, altamente inquinanti, il mancato utilizzo dei filtri di ultima generazione per ragioni prettamente economiche e infine il dato più interessante: gli effetti dell’incenerimento dei rifiuti sulla raccolta differenziata. Sì perché, nonostante sia chiaro che questi siano due processi diversi, ancora non è comunemente accettata la sostanziale competizione che esiste tra incenerire e differenziare: o si fa una delle due cose bene o si fanno entrambe una schifezza.
Visto che la teoria ecologica più recente, ma anche quella economica e in un certo senso la teoria-pratica di sopravvivenza, suggeriscono una maggiore convenienza del riciclaggio rispetto all’incenerimento, i timori si affollano intorno agli ostacoli che un buon ciclo della differenziata potrebbe incontrare. I cittadini di Brescia indicano come ostacolo proprio il loro inceneritore, il quale richiede una certa quota fissa di materiale calorico (a Brescia è di ottocentodiecimila tonnellate l’anno) per mantenere attivo l’impianto. “Il totale fallimento della differenziata a Brescia si rivela nelle quantità del rifiuto indifferenziato, che una differenziata efficace dovrebbe abbattere drasticamente: a Brescia, invece, da quando funziona l’inceneritore la quantità è continuamente aumentata da centoventimila tonnellate nel 1998 a centotrentasettemila nel 2007, giusto per soddisfare il bisogno di combustibile (e di profitti) dell’inceneritore stesso”, si legge nel documento. Se chiediamo conforto a una logica meramente quantitativa risulta palese che per spingere l’attività di raccolta differenziata verso i parametri vigenti per legge (il 65% entro il 2012) dovremo sottrarre sistematicamente, e in crescendo, rifiuto combustibile alle fiamme degli inceneritori. Quindi, perché costruirne altri?
Per i difensori dell’incenerimento questi impianti sono l’avanguardia nel mondo per quanto riguarda un buon ciclo dei rifiuti. Eppure il professor Paul Connet, docente emerito di Chimica alla St. Lawrence University di New York e teorico della strategia “Rifiuti Zero”, invitato recentemente proprio all’inceneritore di Brescia, sottolinea che «negli Usa dal 1995 non costruiamo più inceneritori, perché la comunità scientifica ne ha capito la pericolosità. Una cosa sola si dovrebbe fare: innanzitutto diminuire la produzione pro capite di rifiuti». Connet cita anche gli studi del medico e ricercatore Stefano Montanari, pioniere insieme alla moglie degli studi sulle cosiddette “nanopatologie”. Nonostante il nome possa sembrare inoffensivo, sono in realtà malattie gravissime le cui cause vengono individuate in composti chimici non biodegradabili, prodotti anche dalla combustione dei rifiuti e dal materiale di risulta dei processi di incenerimento. Senza contare i fumi immessi nell’atmosfera, che viaggiano per chilometri e non deperiscono, bisogna considerare anche le ceneri (pari al 15% della quantità iniziale), pericolosissime, che un inceneritore produce, le quali richiedono discariche speciali per essere smaltite. Incenerire l’immondizia nasconde il problema alla vista e lo fa diventare minuscolo, fisicamente, ma in realtà biologicamente enorme.
Se anche volessimo considerare l’incenerimento come “male necessario” e temporaneo, utile per traghettare il ciclo dei rifiuti verso obiettivi di riduzione e riciclo, ancora non si spiegherebbero la quantità di sforzi profusi nella realizzazione dell’unico impianto campano, quello di Acerra, e l’inerzia totale nell’approntare anche solo un abbozzo di raccolta differenziata (proprio ad Acerra la differenziata è inesistente). Ci dev’essere una qualche ragione. Guardiamo altrove, questa volta in Abruzzo, in cerca di lumi. La bufera che ha colpito recentemente l’establishment regionale è un avvitarsi di tangenti, concessioni, truffe e appalti legate al business dei rifiuti. L’assessore alla Sanità della Regione Abruzzo Lanfranco Venturoni (Pdl) è stato posto agli arresti domiciliari, mentre sono indagati per corruzione due senatori del Pdl, Paolo Tancredi di Teramo e Fabrizio Di Stefano di Tollo (Chieti) e il sindaco di Teramo Maurizio Brucchi (Pdl). A finire in manette anche il proprietario della De.Co., Rodolfo Di Zio, di fatto il monopolista dei rifiuti in Abruzzo. La cricca abruzzese era impegnata nella spartizione di una torta succulenta: fornire appalti e terreni a un’azienda “amica”, quella di Di Zio, in cambio di finanziamenti illeciti e tangenti.
L’inchiesta ci fornisce dettagli interessanti sulla competizione tra incenerimento e raccolta differenziata riscontrata anche a Brescia. Dalle intercettazioni apprendiamo come l’imprenditore Di Zio esercitasse pressioni sulla giunta abruzzese per far abbassare lo sbarramento della raccolta differenziata (al 40% entro il 2010 secondo una legge regionale) motivando così la richiesta: «Quello l’inceneritore si mangia una freca di immondizia e io non so dove andarla a trovare…». Per questo occorreva ritoccare il piano regionale rifiuti. Cosa che avviene in data 2 novembre 2009, dove lo sbarramento al 40% sparisce, aprendo all’ipotesi di costruire anche più di un inceneritore. Del fatto che la compravendita di terreni per cui sono indagati Venturoni e Di Zio non fosse orientata alla produzione agricola ce lo dice lo stesso Venturoni in un’altra intercettazione, registrata pochi mesi prima del suo insediamento in assessorato: «Fammi andare in Regione… t’avessi a crede che mo’ tengo ventotto ettari di terreno per fa l’uliveto? Pe fa l’uoglie? Là ci dobbiamo fare l’inceneritore Robbè». Progetti a sfondo sociale, insomma.
I sospetti che le attuali gestioni dei rifiuti in diverse regioni italiane rispondano più a logiche affaristiche che a tentativi di risoluzione animati dalla preoccupazione per il bene pubblico, crescono. I comitati campani e del resto della penisola hanno da tempo avanzato proposte il cui guadagno è un ritorno in termini di salute e sostenibilità, più che di milioni da spartire. L’assenza d’interesse monetario che i comitati incarnano, non volendo favorire questa o quella azienda ma un’impostazione teorico-pratica per risolvere il problema, dovrebbe quantomeno rendere degne di interesse per l’opinione pubblica e per i funzionari le soluzioni alternative prospettate dai cittadini. Un raccolta differenziata porta-a-porta che impegni sia gli utenti che gli erogatori del servizio in un’opera di rinnovamento delle abitudini e della consapevolezza sui consumi, oltre a essere intelligente, si configura come necessaria. Altrimenti, la stupidità afasica del consumatore potrebbe rivoltarglisi contro. Presto, molto presto. (salvatore de rosa)
TERZIGNO: RITORNANO I CAMION
C’è un’aria strana alla rotonda di via Panoramica. Il vertice in prefettura ha dato il via libera per i nuovi scarichi nella cava di Terzigno, evidentemente dalle indagini effettuate sarà risultato tutto a norma… Ma secondo il duo Bertolaso-Berlusconi, è tutto a norma da sempre.
Resta il fatto, però, che nonostante i dieci giorni di stop, a Boscoreale la puzza è ancora insopportabile e nulla sembra essere cambiato rispetto alla scorsa settimana, se non il fatto che una parte dei comitati civici hanno preferito credere alle rassicurazioni del premier. E, soprattutto, i sindaci in blocco hanno fatto in fretta a ritirarsi dalle strade tornando nei palazzi dove erano stati chiusi fino alla prima metà di settembre. Il sindaco di Boscoreale in particolare rincara la dose affermando che il corteo dello scorso 30 ottobre – diecimila persone – è stato mosso dai comitati antagonisti ed estremisti e in generale quelli che proseguono la protesta sono tutti “comunisti”. Se così fosse, le forze davvero comuniste presenti nel paese in questo periodo storico non potrebbero che gioire.
Ma così non è. Seppur da meno persone, anche la scorsa notte la cava Sari è stata presidiata mentre un’altra parte del movimento difesa del territorio area vesuviana si era recata a Giugliano, località Taverna del Re per il corteo pomeridiano, convinti come sempre della necessità di unificare le lotte di protesta.
Appena ventitre camion sono riusciti a entrare nell’invaso fino alle prime luci dell’alba mentre un autocompattatore è stato bruciato. L’atmosfera è sempre tesa, la polizia e i carabinieri sempre presenti ma la gente adesso non sa più se sentirsi come sempre abbandonata dalle istituzioni oppure continuare a credere nella soluzione vera del problema. Un’incognita, anche perché il programma per il futuro è sempre lo stesso: discariche. E intanto ieri a Salerno è partita la gara d’appalto per il nuovo inceneritore… (alessio arpaia)
UNA DISCARICA TARALLUCCI E VINO
Il 29 ottobre scorso i sindaci dei comuni vesuviani vicini alla discarica hanno firmato un accordo con il presidente del consiglio dei ministri, alla presenza del sottosegretario Bertolaso, del prefetto di Napoli, dei presidenti della regione e della provincia. L’accordo annunciava che cava Vitiello, la nuova immensa discarica sul parco nazionale del Vesuvio non si sarebbe aperta. Per quanto riguarda la già esistente cava Sari, l’accordo prevede che nel sito verranno ospitati esclusivamente i rifiuti dei comuni dell’area vesuviana, e solo dopo attenti accertamenti sulle condizioni della stessa cava. Una parte della popolazione ha ritenuto quest’impegno una vittoria, ed è notizia effettiva di questi giorni che le persone presenti al presidio alla rotonda Panoramica di Boscoreale siano diminuite di molto. Chi è rimasto prova a spiegare le sue ragioni, e perché ci si debba fidare poco di questa intesa.
Innanzitutto c’è da dire che già nel 2008 un accordo simile fu firmato tra il sottosegretario Bertolaso e il sindaco di Giugliano, Giovanni Pianese. Quest’accordo prevedeva la definitiva chiusura del sito di Taverna del re, a Giugliano, se non in virtù di un provvedimento di legge. Inutile ricordare cosa sta accadendo in questi giorni: il presidente della provincia Cesaro che firma un’ordinanza straordinaria di apertura, i manifestanti che le provano tutte per ostacolare il passaggio degli autocompattatori. La realtà è che nonostante l’accordo il sito è stato ripristinato.
Un altro punto poco chiaro dell’accordo riguarda i siti per il compostaggio. Al termine dell’incontro è stata annunciata la disponibilità da parte dei comuni vesuviani a ospitare gli ormai celebri impianti, che avrebbero un ruolo fondamentale nel processo di stabilizzazione del ciclo dei rifiuti in Campania. Il sindaco di Boscoreale, Langella, ha parlato, tra le possibili ipotesi, della «costruzione di un sito di compostaggio o per il trattamento biologico» proprio all’interno della cava Vitiello, in questi giorni nell’occhio del ciclone. La possibilità di una nuova gigantesca discarica nel parco nazionale sarebbe scongiurata («per salvaguardare l’ambiente dello stesso parco», avevano detto i sindaci) ma non si disdegnerebbe di piazzarvi all’interno un impianto di compostaggio.
Ancora, nel documento del 29 ottobre si utilizza una espressione (“accertate criticità”) ambigua e aperta a diverse interpretazioni: “I comuni predetti potranno conferire i rifiuti in cava Sari, fino a esaurimento della stessa, tranne che in situazioni di accertata criticità”. Il sindaco di Boscoreale Langella, però, annunciava già ieri come imminente (ora che l’accordo è stato raggiunto) il ritorno degli autocompattatori carichi dell’immondizia vesuviana alla cava. Nessuno, intanto, ha ancora verificato se la cava presenta effettivamente situazioni di “criticità”. O, se questo è stato fatto dai tecnici al lavoro in questi giorni, i risultati non sono stati comunicati a nessuno. Le denunce dei comitati (e una relazione dell’Arpac) parlano addirittura di inquinamento da percolato delle falde acquifere, e una risposta in proposito sarebbe dovuta arrivare prima del rientro dei camion in cava. Non è stato inoltre detto nulla a proposito dei comuni, tra i diciotto interessati che non svolgono la raccolta differenziata, i quali scaricheranno tutto, indistintamente, in cava Sari. Non è stato detto nulla a proposito del destino dei rifiuti tossici della “Wisco” di Torre del Greco. Non sono stati stabiliti tempi tecnici per l’esaurimento della cava. Non è stato spiegato come si intende procedere per combattere l’inquinamento delle falde acquifere.
Quello che è stato spiegato, invece, è come dovranno comportarsi i cittadini. I sindaci, infatti, hanno garantito, in barba a qualunque diritto democratico “la sospensione di qualsiasi attività di protesta”. Non si capisce, infatti, in base a quale principio un individuo possa garantire la rinuncia a manifestazioni legali e pacifiche da parte di un altro individuo, e firmare con lo Stato un accordo che limita la libertà di espressione, di movimento, di parola, di un cittadino. (riccardo rosa)
HALLOWEEN ALLA ROTONDA
Domenica sera. Una settimana dopo l’ultimatum del ministro Maroni, poche ore dopo la vittoria del Napoli a Brescia, argomento molto gettonato alla rotonda Panoramica. Alle sette e mezza le persone sono poche, meno di un centinaio, e qualcuno domanda in giro come mai. Alcuni si nascondono dietro l’arrivo dell’ora legale, altri danno la colpa al freddo, ma nessuno vuole ammettere che le parole rassicuranti di Berlusconi e Bertolaso, e l’accordo raggiunto con i sindaci dei quattro paesi immediatamente vicini alla discarica, hanno calmato molti animi. Qualcuno si è convinto di aver vinto la lotta.
Giuditta guarda in faccia la realtà, ed è molto arrabbiata con i suoi compaesani. Per lei, e per quelli che sono ancora in piazza, quell’accordo è carta straccia. Prova a spiegare, per esempio, che lo stesso tipo di accordo era stato firmato nel 2008 tra Bertolaso e il sindaco di Giugliano: «Prevedeva la chiusura definitiva del sito di Taverna del Re, dove invece in questi giorni stanno provando a entrare in ogni modo, dopo l’ordinanza di apertura firmata dal presidente della provincia Cesaro».
Un altro dei punti caldi dell’accordo dice che in realtà, in cava Sari, i rifiuti dei paesi vesuviani continueranno a essere sversati, tranne che “in situazione di accertata criticità”. Per accertare questa eventuale criticità, però, pare che i tecnici siano al lavoro in questi giorni, ed è per questo che al presidio la notizia di eventuali sversamenti previsti in nottata o al massimo domani (a cui anche il sindaco Langella aveva aperto durante il pomeriggio) suonano come il primo di una serie di tradimenti.
Intanto alla destra dei gazebo, un gruppo di persone si è riunito per ascoltare la musica di una paranza di Pagani, che con tamburi e tammorre ravviva un po’ l’atmosfera, raccontando la storia cantata della Madonna delle galline: «Si tratta – spiega una signora – di una Madonna che prende nome da un aneddoto curioso. Si dice che a Pagani fu trovato un giorno un quadro della Madonna, con sopra dei chicchi di riso, e che le galline si recavano lì ogni giorno per mangiarli».
Ora che è tutta in gruppo, la gente alla rotonda sembra essere aumentata. Sono le nove, e nei giorni più caldi a quest’ora la piazza era sempre piena. Oggi sono molti di meno.
Venere, una delle “mamme vulcaniche” ormai alla ribalta, non riesce a capacitarsi delle assenze, e apostrofa in mille colorite maniere quelli che «si sono fatti convincere da Berlusconi». Ha il dente avvelenato anche con alcune delle mamme, pare siano tre o quattro, che dopo l’accordo «hanno diffuso un comunicato compiacente a nome di tutto il gruppo. Si sappia che invece a noi quest’accordo non piace, lo consideriamo l’ennesima presa in giro». Venere ha due figli, è una delle più battagliere tra le mamme della rotonda. Ha una bottiglia di plastica in mano, una parola per tutti, e grinta da vendere. I suoi bambini, insieme a un’altra decina, stanno festeggiando Halloween alla Panoramica, e sono contenti di essere sotto la luce dei riflettori. Valentina racconta che alla scuola “Cangemi”, poco lontana dalla discarica, e dove frequenta la quarta elementare, la sua maestra da almeno un anno entra in classe ogni giorno mezz’ora prima, per arieggiare l’aula, all’interno della quale è penetrata la puzza degli sversamenti della notte precedente. Antonio, che non vuole saperne di essere messo da parte, interviene: «Qua la settimana scorsa c’è stata la guerra. Polizia, lacrimogeni, pietre, corse. Dì la verità: in quale dei paesi dove sei stato ci sta la guerra della munnezza?».
La gente alla fine è arrivata. Certo, sono meno dei giorni scorsi, ma l’importante è che la cosa non muoia. «Noi ci siamo – racconta Maria –, i più ingenui ci raggiungeranno quando si accorgeranno di essere stati presi in giro». Maria è una delle signore (tutte over sessanta) che si scaldano vicino al fuoco: dieci sedie di plastica bianche e capelli quasi sempre dello stesso colore. Come con la maggior parte delle persone anziane, a parlare con lei si imparano mille cose, e si finisce per sapere la storia della loro vita. Durante uno dei tanti salti nel passato, riflette: «I nostri genitori, le nostre famiglie, erano ignoranti. Quando negli anni Settanta aprì la discarica, i contadini ci portavano i maiali a mangiare, per risparmiare: ma non si rendevano conto, non ci rendevamo conto di quello che facevamo. Oggi ci stanno i giornali, i computer, ci sta tutto, quindi non ci si può nascondere dietro l’ignoranza. Io non sono istruita, eppure quando mi hanno spiegato cosa stava succedendo ho capito. Quando ho visto la gente della palazzina dove abito morire per tumori e leucemie mi sono spaventata. Chi vuole stare a casa ci stesse, io ho paura, e qua ci vengo ogni sera». (riccardo rosa)
DIECIMILA IN CORTEO SOTTO IL VESUVIO
Sabato 30 ottobre. Alle prime luci dell’alba era girata una falsa notizia: il corteo si trasforma in una festa. Nel servizio del tg3 delle 14, prima della manifestazione, il sig. Franco Matrone – esponente di spicco del Pd di Boscotrecase e membro del comitato civico – affermava dinanzi alle telecamere di essere contento dell’accordo raggiunto e di essere felice che nella cava Sari avrebbero sversato solo i comuni vesuviani. Ma a queste parole Luigi Casciello – Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana – rispondeva secco: «parla per te, parla per te! Noi continueremo a protestare finché la cava Sari non sarà chiusa e bonificata, devono smetterla di mangiare sulla nostra pelle!».
Dunque a tanta gente tutto ciò non va a genio: «noi siamo ancora a lutto, la cava Vitiello è solo uno specchietto per le allodole usato dal governo per placare gli animi: vogliamo l’immediata chiusura e bonifica della cava Sari che da trent’anni inquina e devasta il nostro territorio».
La risposta all’accordo firmato dai sindaci insieme a Berlusconi, le popolazioni vesuviane l’hanno data ed è stata incisiva ed energica come non era mai successo nelle terre alle falde del Vulcano. Un unico enorme grido, un NO unanime e preciso: la protesta non si ferma, la lotta va avanti; i cittadini giurano che nessun camion riuscirà più a sversare nella cava Sari, e denunciano i sindaci della zona di essere complici della carneficina in atto, sia mediatica che ambientale.
Oltre diecimila persone suddivise in quattro grandi cortei – Boscoreale, Boscotrecase, Terzigno e Torre Annunziata – sfilano per oltre tre ore lungo i tanti paesi dell’hinterland. Una folla che nessun fotografo, per quanto costosa sia la sua macchina, riesce a prendere per intero; i quattro spezzoni sembrano non avere ne’ inizio ne’ fine e vantano un organizzazione capillare: musica, striscioni, megafoni, microfoni e tanta, tantissima fatica.
Sembra proprio che tutta questa gente pian piano stia arrivando a capire che non esistono solo le promesse, che non sempre si può venire schiacciati dal peso trasversale di scelte politiche indegne del rispetto dei cittadini: «nonostante dieci giorni di stop agli sversamenti, la puzza qui è ancora insopportabile: segno tangibile dell’enorme danno creato da questa bomba atomica infilata sotto il parco nazionale del Vesuvio», dicono i manifestanti.
Lungo le strade sono presenti realtà sociali provenienti da tutta la Campania, i “noTAV” da Torino, il “popolo viola”, i disoccupati organizzati, il Legal Team, il Coreri, e molti altri. Il corteo, lunghissimo, affronta durante la marcia temi concatenati come lo sfruttamento, il lavoro, la gestione dei rifiuti e la repressione messa in atto, secondo i movimenti, in maniera arbitraria e con tecniche “cilene”. I manifestanti urlano a gran voce di non lasciarsi intimidire dalle violenze dello stato, dalle perquisizioni con esito negativo, dallo stato di polizia in cui, denunciano i comitati, è piombata Boscoreale nell’ultimo mese.
In un volantino a firma del Movimento si legge “A fest do cazz”! La voce più chiara, dopo quattro ore di corteo e una lunghissima assemblea in cui si sono espresse tutte le realtà – campane e non – in lotta, è quella che dice: «non abbiamo nulla da festeggiare, la lotta va avanti: ci avete avvelenato per anni, ora basta!». (alessio arpaia)
L'ALTRA GUERRA DI TERZIGNO
Tutti parlano di “tregua” a Terzigno, ma la guerra continua sui giornali e nelle televisioni, sopra alle teste dei manifestanti. I giornali locali, ripresi poi da quelli nazionali e dai canali televisivi, seminano ogni giorno sospetti sulla composizione del movimento, insinuano la possibilità di una regia criminale, sostengono con certezza la presenza di infiltrazioni camorristiche. Fanno a gara a trovare i nomi più pittoreschi tra i manifestanti, a mettere in ridicolo le loro motivazioni e la loro consapevolezza, a ricondurre ogni cosa, con compiacimento neanche troppo velato, all’opprimente limitatezza di orizzonti in cui ci siamo abituati a vivere in questa regione. Contribuiscono, insomma, ancora una volta, a far perdere di vista i punti fondamentali della questione – una discarica incontrollata di rifiuti indifferenziati in un parco nazionale – e gli obiettivi a lungo termine – un piano finalmente sostenibile per la gestione dei rifiuti.
Intanto i sindaci di Boscoreale e Terzigno non hanno ancora firmato ufficialmente la proposta di Bertolaso, quella che sospende l’apertura della cava Vitiello a patto che nella cava Sari si riprenda a sversare regolarmente, ma “solo rifiuti provenienti dai comuni vesuviani”, e che cessino del tutto le proteste. Non hanno ancora firmato – perché, come dice una tranquilla signora di mezza età al presidio della rotonda di via Panoramica, «lo sanno che altrimenti verrebbero linciati dai lori concittadini» – ma la proposta sembra essere di fatto passata. Come ha dichiarato ieri il sindaco di Boscoreale, Gennaro Langella, in seguito a un sopralluogo alla discarica di cava Sari (attualmente rivestita da strati di terriccio per dare sosta ai nasi dei residenti), non bisogna fermare più gli autocompattatori, perché i prossimi saranno quelli che portano in discarica i rifiuti dei comuni vesuviani, ed è necessario ripulire questi paesi al più presto per evitare possibili sviluppi di epidemie. Come da tradizione nel contesto dell’emergenza rifiuti campana, l’appello al buon senso e la minaccia di ritorsioni ulteriori sulla salute rischiano di diventare un muro di gomma capace di rendere accettabili le opzioni peggiori, oscurando le possibilità di cambiamento.
I partecipanti alla protesta parlano di un crescente «clima di intimidazione e criminalizzazione», raccontando degli arresti e delle perquisizioni degli ultimi giorni. Ieri pomeriggio si è tenuta alla rotonda di via Panoramica, nella zona di confine tra Boscoreale e Terzigno, a poche centinaia di metri dalla discarica, una conferenza stampa con gli avvocati che si occupano della difesa dei ragazzi fermati tra giovedì e domenica. «Uno di loro è stato fermato davanti alla porta di casa. Gli altri mentre raggiungevano la macchina», racconta l’avvocato Liana Nesta, che come membro dell’associazione internazionale “Legal Team” fornisce assistenza legale al movimento nato in difesa del territorio vesuviano. Di ritorno da due processi tenutisi nella giornata di ieri, uno a Napoli e l’altro a Torre Annunziata, l’avvocato sottolinea che si tratta di «persone assolutamente estranee a violenze e danneggiamenti». Capri espiatori occasionali che hanno pagato per gli scontri dei giorni precedenti, pestati sotto casa e arrestati senza motivo, se non quello di manifestare «per il diritto alla salute», come evidenzia l’avvocato.
Uno dei tre ragazzi arrestati milita nel volontariato cattolico ed era in procinto di partire per l’Africa. Un altro aspettava la fine degli scontri per tornare a casa dal padre, che abita poco distante dalla rotonda; l’ultimo risiede in un comune vicino ed era venuto a trovare degli amici sul posto. Accusati di resistenza aggravata e detenzione di armi, sono stati alla fine condannati per resistenza semplice, con divieto di dimora a Terzigno – se fossero veri criminali quindi ci sarebbe da preoccuparsi, dato che la rotonda sede degli scontri rientra nel comune di Boscoreale e potrebbero farvi ritorno senza problemi.
L’avvocato Nesta ha cercato anche di denunciare davanti alle telecamere dei telegiornali Rai – che si focalizzavano però prevedibilmente su pochi particolari – la violenza con la quale le forze dell’ordine sono intervenute nei confronti di tutti i presenti alla rotonda nelle ultime settimane, utilizzando armi improprie. Oltre ai bossoli di pistola calibro nove ritrovati in zona, che verranno sottoposti alla magistratura, è stato ufficializzato quello di cui si parla da giorni. I lacrimogeni ritrovati, spiegano l’avvocato e alcuni residenti della zona, sarebbero di due tipologie. Una è quella al gas CS, la stessa usata durante il G8 di Genova; per la sua tossicità e per la possibilità di causare danni permanenti è vietata in zone di guerra da tutti i paesi firmatari della convenzione di Ginevra, ma l’Italia ne ammette evidentemente l’utilizzo in tempo di pace (o pseudo tale), in una zona peraltro «ad altissima densità abitativa», sottolinea l’avvocato. Un altro tipo sarebbe quello utilizzato nell’ultima invasione armata a Gaza, che sparato in aria poi scende aprendosi a ventaglio. Ma se sparato ad altezza d’uomo, come è accaduto in questi giorni, può anche succedere che un lacrimogeno di questo tipo causi la frattura scomposta di tibia e perone a un manifestante.
In un contesto in cui «la vera violenza è il conferimento di tonnellate di spazzatura indifferenziata nel parco del Vesuvio», sostiene l’avvocato, le accuse di infiltrazioni camorristiche intorbidano le acque. «I clan guadagnano dallo sversamento dei rifiuti indifferenziati nelle discariche, i movimenti chiedono raccolta differenziata e impianti di compostaggio», ricorda Nesta. Per mantenere alta l’attenzione su Terzigno e contrastare le strategie intimidatorie messe in atto negli ultimi giorni i residenti di Boscoreale e Terzigno promuovono per sabato 30 ottobre alle 17.00 una manifestazione che conta sulla solidarietà di altre comunità impegnate nella difesa del territorio, e non solo. Nella speranza di poter fare notizia anche senza fuochi d’artificio, pur sapendo che «ti vogliono vedere in guerra. Quando c’erano gli scontri erano tutti qui i giornalisti, ora sempre meno», dice una signora sulla settantina, anche ieri presente all’appuntamento che da due mesi è diventato quotidiano sotto la tenda al presidio, nonostante il freddo che incalza sul Vesuvio. (viola sarnelli)
DISCARICHE: IN CORTEO FRA I RICORDI
È la sera del 26 ottobre a Pompei, in piazza Falcone e Borsellino si radunano centinaia di persone. Tra poco partirà il corteo di solidarietà con la popolazione di Boscoreale, Boscotrecase, Trecase e Terzigno, contro le discariche, per una corretta gestione dei rifiuti a partire da riduzione degli imballi, riuso, raccolta differenziata spinta, sognando Vedelago… Man mano che la folla aumenta si incontrano e si ritrovano amici e amiche d’infanzia, gente da poco rincasata dal lavoro, pensionati, studenti, commercianti, albergatori. I ricordi si mescolano alle analisi approfondite sulla crisi. E ci vuole poco a capire che è crisi di valori.
Arrivano i politici, il sindaco, i consiglieri, si parte. Piove. Partono gli slogan: “Non state a guardare: scendete in piazza a manifestare!”, “Giù le mani dal parco nazionale!”, “L’immondizia non va bruciata: raccolta, raccolta, differenziata!”, “La lotta è dura e non ci fa paura!”, i cori: “La gente come noi non molla mai”. Siamo centinaia. Forse un migliaio. Via Lepanto è piena di gente. Risaliamo via Piave. Sono quasi le nove. Puntuale il passaggio a livello chiuso ci ferma all’imbocco di via Nolana. La percorriamo tutta sotto la pioggia. Dopo il cimitero, all’incrocio con via Grotta e Tre Ponti si unisce al corteo la gente di Scafati, con il loro sindaco. La gente di Parrelle ci applaude. Guarda: lì in fondo la mia famiglia coltivava i fiori. In questi giorni si lavorava il crisantemo. Arrivati a Passanti sfiliamo tra gli scheletri dei compattatori bruciati. Il corteo ammutolisce, sembra davvero di essere entrati a Belfast… certe scene un conto è vederle alla tivvù, un conto è vederle da vicino, arrivano i fotografi, cercano di farci mettere in posa, cerchiamo di fargli capire che non è cosa, riescono a fotografarci dietro uno striscione con un compattatore bruciato sullo sfondo.
Imbocchiamo la Panoramica, decine di auto sono bloccate ma gli automobilisti pazienti solidarizzano con noi e accompagnano i nostri slogan con colpetti di clacson. Da poco sono passate le dieci quando incontriamo le mamme vulcaniche che sono venute ad accoglierci. Applaudono. Le applaudiamo. È quasi una festa, nel buio surreale rischiarato dai lampeggiatori delle camionette delle forze dell’ordine. Quanto manca alla “rotonda della resistenza”? In quella traversa, un po’ più avanti, c’è il pezzetto di terra dove i nonni coltivavano la vite, il pesco, l’albicocco, e c’è ancora maestoso il noce e ‘o per’ ‘e fic’… Ancora un pezzettino di strada in salita e finalmente siamo alla rotonda. Ancora applausi, la gente di Boscoreale ci accoglie festosa. Applaudiamo la gente di Boscoreale. Abbracciamo i compagni e le compagne… emozioni, ricordi… ho visto le foto di tua mamma… quello è tuo figlio: azz’ come s’è fatto grande… All’improvviso parte, liberatorio, il coro “Fratelli d’Italia”, ancora applausi, ancora slogan: “Chi non salta Bertolaso è”. Un cordone di agenti in tenuta antisommossa impedisce di avvicinarsi alla strada che porta alla discarica. Le forze dell’ordine proteggono la zona strategica-militare. Inviolabile. Era un parco nazionale. (giampiero arpaia)
TERZIGNO, PROTESTE E CONSAPEVOLEZZA
Giorni fa Amato Lamberti proponeva un’analisi del risalto mediatico che la protesta di Terzigno sta avendo in questi giorni. In breve, Lamberti diceva che l’attenzione dei media è necessaria per suscitare l’interesse delle istituzioni ma allo stesso tempo può portare alcune parti della popolazione ad azioni sempre più eclatanti al fine di meravigliare l’opinione pubblica, correndo anche il rischio di screditare la protesta stessa. Erri De Luca, invece, sul Corriere della Sera ha scritto di quella che ritiene ancora la sua gente, nonostante lui viva a Roma da anni raccontando amene storie di amori e sessantottini. De Luca dice che il popolo vesuviano è abituato a subire ma quando poi si incazza… allora sono dolori! A suo dire, questa gente non si arrenderà mai. Analisi interessanti, che in ogni caso vanno rapportate a ciò che davvero accade nei territori vesuviani, e soprattutto a ciò che accadeva quando opinionisti e scrittori avevano anche loro dimenticato la triste sorte della loro amata terra.
La lotta di Boscoreale e Terzigno ha tante anime e, nonostante tutte ormai si ritrovino in piazza, le stesse hanno origini e idee diverse. Un salto andrebbe fatto quanto meno all’anno 2007 e un racconto merita di essere affrontato da allora e fino al giugno del 2010.
All’epoca, a individuare le due discariche all’interno del parco nazionale del Vesuvio fu il governo Prodi, nella persona del ministro verde Pecoraro Scanio. Ricordo quel periodo perché alcuni dei miei più cari amici diedero forza e voce al “movimento difesa del territorio area vesuviana”: nacque da subito un presidio permanente ai cancelli della cava Sari, dove ancora non si sversava. L’atmosfera era tutto sommato allegra: solo in compagnia si può passare il tempo all’aperto e all’umidità pungente dei boschi del Vesuvio. C’era allegria sì, ma anche tanta amarezza per la distanza dal resto dei cittadini. Due popolazioni c’erano all’epoca: quelli che i presidianti li prendevano per pazzi estremisti e quelli che, membri dei partiti di centrosinistra, all’epoca maggioranza nel paese e nella regione, tuonavano contro il presidio perché, dicevano, in quella discarica al massimo ci sarebbe andata la frazione organica stabilizzata. Agli eredi del Pci, allora, piacevano le discariche! Il pericolo, dunque, il popolo non lo percepiva per niente e pian piano, dopo alcuni mesi, il piccolo punto di incontro sotto le cave venne chiuso, proprio mentre il governo Prodi annunciava di rinunciare a quei siti di stoccaggio. Quando si rimane in dieci a passare le notti al freddo, non è facile andare avanti…
Poi arrivarono Silvio e Guido, la provvidenza e la concretezza. Arrivarono perché una buona fetta di quelli che additavano i ragazzi dei movimenti come pazzi visionari, dissero basta ai logori governi del centrosinistra e alle deplorevoli amministrazioni provinciali e regionali del rovinoso Bassolino. Buona parte degli abitanti del vesuviano vollero credere nel cavaliere e accolsero il capo della protezione civile come un salvatore della patria. L’immondizia era sparita e Napoli poteva tornare a respirare. Anche Boscoreale, con il sindaco Langella, fu liberata da tonnellate di rifiuti e lo stesso dicasi per Terzigno, con il ritorno di Mimì Auricchio nella casa comunale. Anche loro accolsero il miracolo del Popolo delle Libertà mentre il malconcio centrosinistra rimase in silenzio a leccarsi le ferite. Ma sotto quale tappeto avevano messo quelle montagne di immondizia?
Gli unici diffidenti, manco a dirlo, furono i soliti contestatori del movimento, che fin da subito iniziarono ad avvisare, con una fitta serie di volantini, circa la pericolosità della cava Sari – aperta a maggio 2009 – e dell’ancora più temibile cava Vitiello. Iniziarono le prime assemblee, i raduni in piazza con i megafoni. Ma si era in pochi, in cento, forse in centocinquanta, e si era guardati con sospetto perché “di sicuro anarchici, quanto meno drogati e ce l’avevano a morte con Berlusconi”. Dal canto loro i partiti del centrosinistra non volevano che i discorsi del movimento intaccassero anche quella piccola fetta di elettori ancora fedeli alla quercia striminzita che aveva, negli anni, schiacciato la falce e il martello.
Da gennaio ad aprile del 2010 la protesta aumentò. Volantini e documentari provavano a informare il popolo e ad avvertirlo delle falde che si stavano inquinando e di quello che di lì a poco, con l’arrivo dell’estate sarebbe successo… Ed eccoci a giugno: dopo un anno di scarichi incontrollati nella cava Sari, la puzza che comincia a farsi insopportabile e il popolo che inizia ad aver paura davvero. “Forse hanno ragione i ragazzi, forse Berlusconi ci ha presi in giro ancor più di Bassolino. Forse è meglio scappare, andar via”. Ma ormai è quasi impossibile perché il valore degli immobili nel giro di un anno è calato terribilmente e vendere una casa accanto al Vesuvio per scappare altrove è diventato difficilissimo. Chi l’avrebbe mai detto? I ragazzi del movimento, loro sì; e avevano anche detto che, oltre alle discariche, anche gli inceneritori fanno male e che un metodo di gestione dei rifiuti virtuoso esiste. Avevano parlato, per esempio, del centro riciclo di Vedelago, dove si raggiunge l’obiettivo dei “rifiuti zero”… Ma siamo andati troppo avanti. Perché l’unica consapevolezza che in buona parte del popolo è nata, è soltanto il fetore proveniente dalla discarica. L’unica vera consapevolezza a cui sono giunte tante persone è che QUESTA discarica di Terzigno fa male.
La lotta di questi giorni, dunque, parte da lontano ma per tante persone non mira ad arrivare lontano. Le bottiglie incendiarie, i camion dati alle fiamme, i fuochi d’artificio lanciati in mezzo alla strada, e poi tante e tante persone presenti notte e giorno sulla rotonda a gridare e cantare contro la discarica nel parco nazionale del Vesuvio. Tante persone che nei prossimi giorni arriveranno da Pompei, Scafati, Torre Annunziata… Tante urla e tanta forza. Ma a parlare in un modo più ampio e più a lungo termine, a parlare di rifiuti zero, a dire no alle discariche, ovunque esse siano, a parlare degli effetti nocivi degli inceneritori, a fare tutto questo restano sempre e comunque in pochi. E questo il governo del fare lo sa bene, perciò sta cercando il sistema di gettare profumo sulla cava e, magari, sversare altrove i rifiuti destinati alla cava Vitiello. Il governo, in fondo, lo sa che il popolo, difficilmente, guarda al di là del proprio naso. (alessio arpaia)
UNA DOMENICA TRANQUILLA A BOSCOREALE
È domenica sera, e la situazione dovrebbe essere un po’ più tranquilla, alla rotonda Panoramica. Si discute (sotto le tende, davanti lo striscione Welcome to the rubbish national park, tra i fuochi accesi per riscaldarsi) soprattutto della “proposta Bertolaso”, quella che la signora Angela definisce «una buffonata degna di Pulcinella». Riepilogando, il capo della protezione civile propone: per tre giorni niente rifiuti a cava Sari, che verrà bonificata, mentre la situazione di cava Vitiello resta “congelata”. In cambio ha chiesto agli abitanti di Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase, di sgomberare il presidio, subito. La proposta sembra non essere stata accettata, dal momento che in piazza anche quest’oggi la gente è venuta eccome. Tante persone come gli altri giorni, anche se non hanno compattatori da bloccare, nella loro quotidiana salita verso la cava.
Antonio ha un’età non definibile tra i venti e i trent’anni. È di Terzigno, ma studia sociologia alla Federico II di Napoli. Sembra avere una certa autorevolezza nel parlare, le persone lo ascoltano, la sua posizione è quella della maggioranza dei presenti: «Non ci interessano accordi con chi ha sempre promesso e mai mantenuto. Se vogliono che ce ne andiamo, devono darci due cose: iniziare la bonifica non solo di cava Sari, ma anche delle terre circostanti, che ora sono assolutamente non coltivabili. Poi presentare un documento che garantisca che cava Vitiello non verrà aperta».
Stasera dovrebbe essere una serata tranquilla, si diceva: il fatto che non ci siano camion da scortare, da un certo punto di vista, diminuisce le probabilità dello scontro con le forze dell’ordine. Eppure, dalle facce delle persone si direbbe tutt’altro. Ci viene mostrato un lacrimogeno di tipo “AL CS” – che non potrebbe essere usato – a cui, prima di essere sparato, pare sia stato predisposto un accorgimento: una piccola striscia di nastro adesivo rosso, per evitare – mostrano i ragazzi – che il lacrimogeno si apra, per dividersi in quattro parti. Se invece rimane compatto, l’effetto è lo stesso, perché il gas ha comunque la possibilità di fuoriuscire, mentre il metallo sparato diventa quasi un proiettile vagante, pesante e pericolosissimo, nel caso dovesse centrare qualcuno.
Proprio davanti agli uomini in assetto antisommossa, intanto, va in scena il solito show di Bruno, un signore del luogo, che ogni giorno regala una decina di minuti di cabaret di ottimo livello, tutto in dialetto: «Bertolaso mi ha telefonato. Mi ha detto: “Chi te lo fa fare Bruno? Ogni sera a prender botte, a correre di qua, a scappare di là?”. Io gli ho risposto: “Bertolà, sto facenn’ ‘a palestra!”».
Lo spettacolo di Bruno riconforta un po’ gli animi, le persone ridono di gusto per il suo muoversi e parlare così strano. Quando le luci della piazza vengono spente, però, (e non si capisce nemmeno se a farlo sia la polizia o i più duri tra i manifestanti) alcuni cominciano ad allontanarsi preoccupati, mentre altri si coprono il volto pronti al solito scontro serale. La dinamica, infatti, è questa: alla fine dell’ultima diretta televisiva, le luci vengono spente, quasi come una sorta di invito ai manifestanti ad allontanarsi. Al buio la tensione sale, fino ad arrivare alla carica della polizia, o a un lancio di oggetti da parte dei manifestanti. Dopo, il corpo a corpo per le strade, i lacrimogeni, le pietre, e così via fino a mattino.
Solo che quella di stasera dovrebbe essere una serata tranquilla. Una mamma ha fatto appena in tempo a riportare suo figlio (tra i tredici e i quindici anni) in casa, dopo averlo visto sgattaiolare alla rotonda con un passamontagna, e radunarsi con gli amici in attesa dei fuochi di artificio. Dopo circa dieci minuti le luci vengono riaccese. Altri poliziotti, carabinieri, persino finanzieri, si sono aggiunti a quelli già presenti per dagli il cambio, ma nel frattempo bloccano tre strade su quattro di accesso alla rotonda. I manifestanti che rimangono, una cinquantina, si sentono circondati, e temendo il peggio si rintanano all’interno dell’ultima strada rimasta libera, chiudendo l’accesso ai blindati della polizia con i resti delle auto andate a fuoco nei giorni precedenti. Una volta chiusi tutti gli accessi, a volto coperto, si radunano in una piccola piazzetta, dove all’improvviso sbucano quattro auto della polizia, in borghese, a tutta velocità. Qualche pietra, e nemmeno il tempo dei soliti fuochi d’artificio, che da una Punto blu parte uno sparo. Le persone rimaste (una trentina, tra quelli in cerca dello scontro, e quelli più tranquilli che si erano allontanati dalla rotonda) scappano. Forse gli spari sono due. Le auto della polizia continuano la loro corsa per disperdere quelli che restano, e scoraggiarli dal continuare. In effetti ci riescono: molti di loro sono giovanissimi, non hanno mai sentito uno sparo in vita loro, e allora chi si nasconde nei campi, chi scappa verso il paese, chi entra in qualche palazzo lasciato aperto. Quel rumore ha fatto paura, non succede più nulla, e in un modo o nell’altro il campo è stato sgomberato. Una serata tranquilla, insomma. Come previsto. (riccardo rosa)
VESUVIO, SOSPESA LA SECONDA DISCARICA
“Una rotonda sul male”, dice uno dei tanti cartelli di protesta che delimitano il perimetro della rotonda di via Panoramica, alle porte di Boscoreale. Siamo a circa ottocento metri in linea d’aria dalla discarica Sari, che sta inghiottendo in questi giorni tutti i rifiuti indifferenziati di Napoli e provincia; la strada d’accesso è sigillata da una sessantina di uomini in divisa, spalleggiati da una camionetta a breve distanza oltre che da numerosi altri mezzi che si intravedono più lontano. L’altro punto di accesso alla discarica, dal lato di Terzigno, è ugualmente bloccato, anzi è ancora più difficile da raggiungere dopo gli ultimi scontri, tuttora testimoniati dagli scheletri dei sette autocompattatori bruciati sulla strada che viene da Palma Campania.
A Boscoreale è un sabato sera come un altro, e molte delle famiglie che abitano nei paraggi, insieme ai residenti dei paesi limitrofi – Boscotrecase e Terzigno in primis, ma anche Ottaviano, San Giuseppe, Sant’Anastasia – si ritrovano alla rotonda di via Panoramica per passare il tempo. Ogni cosa è al suo posto: polizia e carabinieri schierati in tenuta antisommossa chiudono l’accesso a via Zabatta, le troupe della televisione fanno a cadenza periodica le loro interviste, c’è chi chiacchiera davanti alla tenda della protezione civile o nei gazebo montati affianco, chi si scalda davanti a un fuoco improvvisato i cui fumi aggiungono un aroma di brace alla puzza che viene dalla discarica poco sopra e che già da sola prende sufficientemente lo stomaco.
«Bisognerebbe fare un po’ per ciascuno, non è che noi ci dobbiamo tenere tutta la puzza e gli altri niente, che fratelli d’Italia siamo sennò?», argomenta un signore davanti alla tenda della protezione civile, belvedere a pochi passi dallo schieramento delle forze armate. «Noi siamo al sessanta per cento, perchè non la fate pure voi a Napoli?», mi domanda un altro anziano residente di Boscoreale, «il comune più colpito dalla discarica, siamo i più vicini». È qui che è partita la protesta, solo «quando la puzza è diventata troppo forte», spiega il primo, un uomo di mezza età; «qualche settimana fa abbiamo fatto una grande manifestazione e in quel caso ci hanno fatto passare, pure perché ci stavano le femmine e ‘e criature davanti. L’altro giorno invece un gruppo di poliziotti ha fatto un giro per passare dietro alla rotonda e si sono persi. D’altra parte pure loro sono operai, mica eroi. Bisognerebbe trovare un altro modo per fermare il passaggio dei camion, che non sia il solito scontro frontale: bloccare autostrade o snodi ferroviari».
Alle sette e mezza qualcosa comincia improvvisamente a muoversi – arrivano i camion, dice qualcuno. Da lontano si sentono le sirene e si comincia a intravedere una lunga fila di lampeggianti blu. Ci fermiamo al margine della strada, insieme agli altri, mentre transitano per la rotonda scomparendo nella direzione proibita. Provo a contarli: uno, due, cinque, dieci, venti, cinquanta. Perdo il conto, sopraffatta dal numero di volanti, jeep e blindati di forze variegate che mi sfilano davanti, un’invasione spropositata di forze armate che costringe anche il più tardo degli spettatori a rendersi conto che l’ambientazione è bruscamente cambiata rispetto a pochi chilometri più in basso: dallo stato di diritto all’abuso di potere armato uno pensa sempre, ingenuamente, che ci sia bisogno di una transizione formale – un trattato di guerra, una formalizzazione di conflitto tra forze nemiche. I nemici in questo caso, gli abitanti di Boscoreale e comuni adiacenti, assistono impotenti e per lo più silenziosi alla sfilata. Una signora che mi sta davanti ammonisce i due figli: «Mi raccomando state zitti, state buoni, se ce ne stiamo qua fermi non ci possono fare niente». Ma dopo il passaggio delle prime volanti non riesce a contenersi, e accompagna tutto il transito del corteo funebre, fino all’ultima camionetta, con bestemmie e maledizioni, inveendo contro ognuno dei singoli uomini che passano sui sedili, già con i caschi in testa, appellandosi in ultimo, sfinita, alla loro coscienza di padri.
Finito il transito si cerca di fare qualche conto: «Facciamo una media di otto per mezzo, per cinquanta, fa quattrocento. E io pago!», cerca di sdrammatizzare un signore col figlio affianco, che a metà tra lo sbigottito e l’eccitato gli chiede: «Ma ne arrivano ancora?». Dopo circa un’ora si assiste al cambio della guardia: questa volta i mezzi escono dalla zona proibita per tornarsene verso Torre Annunziata e poi chissà dove, e il loro allontanamento è accompagnato questa volta da applausi e fischi liberatori. «Neanche se fossimo i peggiori terroristi, manco in Iraq», si sfoga una signora. «La cosa peggiore è la guardia forestale: se vuoi rifarti la casa o se tocchi un rametto di pino o una pietra vulcanica nel parco del Vesuvio sei un criminale, ma ora stanno difendendo una discarica». Il paragone con i conflitti mediorientali è piuttosto diffuso alla rotonda di via Panoramica: «Sono stato nell’ultima guerra in Libano – racconta un fotografo -, la differenza è che certo qui non ti sparano. Ma la tensione mi sembra insopportabile. L’altro giorno un elicottero della forestale è rimasto non so quanto tempo sulle nostre teste a monitorare la situazione, veramente inquietante. I primi giorni l’atmosfera era vitale, c’erano assemblee, mostre, proiezioni. Da lunedì per lo meno una carica al giorno, per quanto tempo potranno andare avanti così?».
Cala la sera e comincia a concretizzarsi la certezza degli scontri che, ne sono tutti certi, non mancheranno anche stanotte. Mentre stiamo a parlare arriva la signora che inveiva poco prima contro i blindati, e offre a tutti i mandarini del suo orto: «Sono di Torre Annunziata, di origine croata veramente – racconta con un leggerissimo accento straniero – ma sto qua tutte le sere. Ieri notte c’è stata veramente la guerra, i ragazzi di qua hanno attaccato la polizia con i fuochi d’artificio, glieli hanno sparati contro messi al contrario e quelli sono stati presi alla sprovvista, si toglievano il casco e piangevano come bambini, mi hanno fatto compassione». Molti descrivono gli scontri di venerdì notte come “cose mai viste”. «Conoscevo gli abitanti di Terzigno come buoni campagnoli, con un accento tendente all’avellinese, ma negli ultimi giorni, dopo l’inizio delle cariche, sono nate vere e proprie squadre armate», mi dice un amico originario del posto. La voce che corre è che lo zoccolo duro di queste bande siano abitanti di quello che qui chiamano “Piano Napoli”, una zona dove sono stati trasferiti residenti del napoletano dopo il terremoto del 1980. Ma certo non possono fare tutto da soli.
Intanto si aspetta che arrivino i rappresentanti della protesta e i sindaci convocati in prefettura a Napoli per un incontro con Bertolaso. Già verso le nove si diffonde l’informazione lanciata dalle agenzie e confermata da telefonate ai presenti all’incontro: l’apertura della seconda cava, la Vitiello, sarebbe stata “congelata”. Quando arrivano finalmente i portavoce, intorno alle undici e mezza, spiegano qual è la proposta del capo della protezione civile: la discarica non verrà utilizzata per tre giorni, verrà parzialmente bonificata e poi tornerà a essere riempita con i soli rifiuti dell’area vesuviana, niente più da Napoli, per un arco di tempo maggiore di quello stabilito finora, circa due anni; l’apertura della cava Vitiello intanto sarà sospesa. In cambio, stop immediato alle proteste e campo libero agli autocompattatori. È una proposta che sa da subito di ricatto neanche particolarmente velato, e viene accolta con ben poco entusiasmo. «Continueremo finchè non chiuderanno la discarica e andranno via una volta e per sempre!», dicono ai microfoni dell’assemblea. «Qua ci vuole solo la guerra», commenta lugubre uno dei partecipanti. D’altra parte sono tutti ben consapevoli di aver già visto questa scena: «Stiamo trattando con gli stessi personaggi di tre anni fa, Berlusconi e Bertolaso, che alla fine decisero per la discarica nel parco. Non andremo a casa stavolta». Verso mezzanotte e mezza arriva il sindaco, che legge ufficialmente il documento emerso dall’incontro, in un clima di «crescente contestazione alimentato da un gruppo di facinorosi», dirà più tardi. La discussione continuerà stamattina, prima o dopo la manifestazione che vedrà sfilare ancora una volta tutti gli abitanti dei comuni circostanti.
È ormai l’una, e la popolazione della rotonda continua a cambiare in maniera lenta e graduale, ma sempre più evidente. Sul versante che porta all’entrata di Boscoreale si concentra un numero crescente di giovani e giovanissimi a volto coperto e non solo da mascherine e fazzoletti per combattere l’aria irrespirabile. La tensione continua a salire, tutti rimangono fermi ad aspettare qualcosa di inevitabile, noto e previsto, leggendone tutti i segnali. Davanti al cordone di polizia spariscono i gruppetti che poco prima, in un’atmosfera del tutto surreale suonavano la chitarra davanti al fuoco; le mamme e le persone più anziane si allontanano. Parte un fischio, poi un altro, poi un altro ancora, è il segnale: scoppiano i primi petardi e i fuochi illuminano di rosso la rotonda, dando inizio a un’altra notte di guerra a Boscoreale. (viola sarnelli)
IL FUTURO IN DISCARICA. TORNA BERTOLASO
Si è da poco concluso il consiglio dei ministri. Berlusconi ha detto: « I disordini? Sono un fenomeno locale che non preoccupa» . Chissà se si è accorto che anche questa notte la violenza delle forze dell’ordine si è scatenata contro donne, ragazzi e anziani. Chissà se si è accorto che uno dei gazebo impiantati sulla rotonda di via Panoramica a Boscoreale è stato assaltato dai poliziotti che hanno tolto di mezzo con la forza un bel po’ di signore anziane e hanno poi provveduto a bruciare le sedie di plastica, tanto per diffondere altro nero fumo nell’aria. Chissà se si è accorto che l’attuale discarica Sari a Terzigno puzza in maniera nauseabonda e ogni mattina migliaia di gabbiani vi si recano per fare colazione.
La riunione straordinaria del governo, dunque, è terminata e ne sono usciti fieri e impettiti, oltre al presidente del consiglio, i ministri Prestigiacomo e Maroni e ovviamente Guido Bertolaso. Decisione presa. Il capo della protezione civile è già di nuovo in viaggio verso Napoli mentre l’Asia è stata sollevata dall’incarico della gestione dei rifiuti: ci pensa l’uomo della provvidenza, ci pensa Bertolaso. Penserà, per l’appunto, a garantire che il nuovo buco alle falde del Vesuvio venga riempito e che Napoli venga ripulita, possibilmente prima delle elezioni amministrative. Ma non penserà certo a imbastire un piano serio di gestione dei rifiuti che tagli fuori una volta e per tutte discariche e inceneritori. No, a questo non penserà.
Intanto è di queste ore la notizia che la procura di Nola ha avviato le indagini relative all’inquinamento della falda acquifera sottostante la discarica Sari e allo stesso tempo è di nuovo pressante il monito della comunità europea che, dopo aver bocciato la discarica nel parco nazionale del Vesuvio, ha ribadito all’Italia che non intende erogare altri fondi temendo che gli stessi vengano utilizzati nello squallido modo in cui sono stati gestiti finora.
Il Tar, la Commissione Europea, i tribunali, la popolazione, i dati relativi all’aumento dei tumori, l’aria irrespirabile, la frutta già tutta marcita, il vino imbevibile, le città di Boscoreale e Terzigno messe a ferro e fuoco… tutto urla a gran voce un NO secco alle discariche nel parco del Vesuvio e al sistema basato su cave e inceneritori. Ma al governo non importa, l’affare rifiuti è troppo grande per dare ascolto alle popolazioni e soprattutto al buon senso. Il Vesuvio e i suoi abitanti moriranno e quando il loro buco sarà riempito i nuovi rifiuti accantonati per le strade imporranno al governo di cercare un buco nuovo. (alessio arpaia)
TERZIGNO: APRIRA' LA SECONDA CAVA. UNA NOTTE DI TERRORE
Boscoreale, rotonda di via Panoramica. Fino ad oggi le forze dell’ordine si erano solo “divertite” a spaventare i manifestanti con qualche lacrimogeno e qualche manganellata qui e lì. Stanotte, invece, l’inferno.
Alla rotonda, dopo la notizia della certezza dell’apertura della seconda cava, la Vitiello, si è radunata molta più gente del solito. I blocchi, che da mesi stanno cercando di impedire gli sversamenti nella prima cava, la Sari , sono aumentati a dismisura. Il governo, nazionale e locale, ha gettato definitivamente la maschera: non c’è un piano di gestione rifiuti alternativo, l’inceneritore di Acerra funziona male e in ogni caso è insufficiente, dunque l’unica strada sarebbero le discariche, anzi la discarica – la nuova discarica di Terzigno che originariamente doveva servire come invaso per la lava del Vesuvio. La Vitiello accoglierà immondizia indifferenziata per 14 milioni di tonnellate, circa 10 anni di sversamenti: la popolazione Vesuviana verrà avvelenata più di quanto non lo è già stata negli ultimi vent’anni. L’unica strada è scappare, andare via ma con le bassissime quotazioni che hanno raggiunto gli immobili in zona e la disoccupazione dilagante, dove mai possono andare i cittadini?
Presa, dunque, la decisione nelle alte stanze del palazzo, il lavoro sporco spetta alle forze dell’ordine, e il bilancio di questa notte è pesantissimo: 200 agenti e 40 blindati in assetto da guerra, manganelli in ogni angolo, cariche, lacrimogeni … una ragazza inseguita e picchiata, violate le proprietà private, messi in fuga centinaia di manifestanti che hanno provato ad offendere anche loro con qualche pietra, con barricate e con fuochi, incendiata anche un’automobile.
Hanno aspettato che l’ultimo TG Rai della notte finisse e hanno caricato. Con violenza. Gratuita. Lo stato ordina: “bisogna reprimere! Occorre sversare”. Le forze dell’ordine eseguono. E gli ordini fanno male, i manganelli umiliano, gli arresti ancora di più. Il questore dice che la situazione deve essere normalizzata. E giù botte: donne, ragazzi, anziani … Tutti vengono picchiati e allontanati. Lo si sapeva, era nell’aria. Il governo ha detto: “Basta! Bisogna far ritornare il silenzio a Terzigno”. Eppure è sempre più difficile riuscire a farlo, la puzza riempie talmente l’aria da diventare quasi assordante, e l’amore dei genitori per il futuro dei propri figli è più forte della paura delle mazzate.
La politica, quella dei partiti, non la si può nemmeno più definire fallimentare. Va oltre il fallimento: in una situazione già tesa da giorni, Parlamentari, Ministri e Governatori rispondono con un “No” secco; “nessun dialogo sui territori, la discarica si apre”. Cosa si aspettavano che accadesse? A Terzigno e a Boscoreale c’è la guerra, non si entra e non si esce. E la puzza è insopportabile. (alessio arpaia)
DUE CORTEI INTORNO AL VESUVIO
Boscoreale, due i cortei fra giovedì e venerdì. Giovedi 30 settembre, in concomitanza con il lutto cittadino dei paesi vesuviani, hanno sfilato le mamme, le scuole, i bambini, i licei… e le istituzioni. Riabilitato dalla popolazione, dopo aver ignorato per anni le voci preoccupate dei comitati, il sindaco di Boscoreale, Gennaro Langella, è stato accolto al grido di “Langella uno di noi” dopo aver annunciato la promessa del premier di non aprire la cava Vitiello. Di tutt’altro avviso invece il corteo di venerdì primo ottobre, lungo tutta via Zabatta, sede delle discariche. La comunità in lotta non ha dimenticato le promesse da marinaio, non ha perso d’occhio il pericolo grave che viene dalla attuale cava Sari e sa bene che anche questa notte centinaia di camion sverseranno nell’invaso vesuviano. Spenti i riflettori di “Anno Zero”, la realtà e ritornata quella di sempre anche perché il programma di Santoro non ha affrontato il problema con attenzione, limitandosi ad aprire la finestra su Terzigno per pochi minuti mostrando un popolo stremato ed arrabbiato a cui il ministro della difesa La Russa ha quasi riso in faccia.
Il corteo, dunque, si è mosso con circa mille persone al seguito, con l’apporto numerico anche dei cittadini di Chiaiano e dei collettivi partenopei. «Mi è piaciuta questa partecipazione esterna – dice Laura F. – anche se il buio ha reso tutto meno vistoso» . Già, il buio. Ancora una volta infatti buona parte della strada è stata lasciata in un buio pesto, di cui hanno risentito anche i cori dei manifestanti. E’ un popolo consapevole, arrabbiato ma a tratti anche stremato da tutto ciò che succede ogni notte sulla rotonda di via Panoramica. «Sui loro volti – dice Eugenia C. – si leggono i segni di una vita normale, fatta di lavoro, sacrificio, famiglia; e la rabbia. La rabbia di chi viene ucciso poco a poco, avvelenato. La rabbia di chi vive, lavora, dorme in quel fetore insopportabile. La rabbia di chi viene avvelenato giorno dopo giorno e ucciso lentamente. La rabbia di chi è stato fottuto da chi doveva proteggerlo: lo Stato».
Dinanzi alle strade che portano alle cave, sempre vigile ed in tenuta antisommossa il cordone delle forze dell’ordine: dalla folla viene acceso un petardo ma in pochi minuti tutto si calma. Arrivati in fondo alla strada, un’assemblea spontanea prende forma nonostante l’intensa umidità scesa ai piedi del Vesuvio: a parlare i comitati di Napoli, di Bosco e ad ascoltare anche padre Alex Zanotelli. E’ ormai l’una, fa un po’ più freddo e molte persone lasciano la strada mentre altre si dirigono decise verso l’invaso da cui, ovviamente, vengono allontanate. Alle prime luci dell’alba arrivano, come ogni giorno, le colonne di camion scortate dalla polizia, e nuovi cumuli di immondizia trovano alloggio nel Parco Nazionale del Vesuvio. (alessio arpaia)
TERZIGNO: IL SINDACO E IL PREMIE'R
«A Roma ho incontrato il premiér – afferma il sindaco di Terzigno accentando la ultima “e” -, mi ha promesso che verrà qui fra cinque giorni e che la discarica Vitiello non si aprirà».
Con questo proclama ricco d’enfasi Domenico Auricchio si è rivolto ieri sera ai suoi cittadini, a poche ore dalla conclusione della veglia e relativa marcia organizzata dal vescovo di Nola, Beniamino De Palma, dalla piazza Pace di Boscoreale. L’agenzia Ansa, ci ha messo poco a fare il giro dei maggiori canali di informazione, dando l’impressione di una vittoria inaspettata. Ma si tratta, appunto, di un’impressione.
Negli ultimi anni, infatti, Mimì Auricchio ha dapprima lottato contro le discariche nel Parco del Vesuvio, poi ha cambiato idea e le ha descritte come una “fabbrica di confetti” capace di portare benessere e progresso al territorio vesuviano, garantendo compensazioni e risarcimenti per gli eventuali danni causati dalle cave. Infine, si è di nuovo schierato contro quando il fetore è divenuto insopportabile. In continuità con il suo noto feeling con il Presidente del Consiglio (su youtube campeggia il video in cui Berlusconi gli dona personalmente una targa in argento), oggi il sindaco di Terzigno mette di nuovo in campo le promesse del primo ministro, proprio quando appena ventiquattro ore prima Bertolaso aveva affermato che «chi dice di non voler aprire cava Vitiello viola la legge, dal momento che nel decreto emergenziale del 2008 si individua la cava come possibile nuovo sversatorio campano».
Ma le vere preoccupazioni sono altre visto che, se davvero la cava Vitiello non si dovesse aprire, è già allo studio un eventuale ampliamento della cava Sari – adiacente alla Vitiello – e ancora non si parla delle bonifica della stessa, la quale nell’ultimo anno ha ingurgitato più di settecento mila tonnellate di rifiuti tal quale.
È evidente che al momento c’è ben poco da gioire: abituati alle bugie di Berlusconi, consapevoli della mutevolezza di opinione dei sindaci dell’area vesuviana, nauseati dalla puzza proveniente dalla apertissima cava Sari, preoccupati da un suo ulteriore allargamento (senza alcuna prospettiva di bonifica), stremati dai continui scontri con le forze dell’ordine, spaventati da possibili denunce a causa degli scontri stessi, i cittadini di Boscoreale, Trecase, Boscotrecase e Terzigno non hanno davvero voglia di credere a nulla che non sia scritto nero su bianco una volta e per tutte.
Per questo motivo, questa mattina i dipendenti degli scavi archeologici di Pompei hanno bloccato l’ingresso agli scavi, riunitisi in assemblea, per sollevare ancor di più la questione delle discariche proprio mentre per le strade di Boscoreale sfila una manifestazione pacifica di studenti e famiglie ed è stato proclamato il lutto cittadino con la serrata di tutti di esercizi commerciali. Per questa sera è previsto – sempre che la Rai non decida di annullarlo – il collegamento con “Anno Zero” e per domani, primo ottobre, si attende una grande manifestazione nazionale lungo via Zabatta, sede delle più grandi discariche d’Europa. (alessio arpaia)
BOSCOREALE: UN'ALTRA NOTTE DI GUERRIGLIA
Boscoreale, ancora non è giunta la mezzanotte di martedì 28 settembre. La rotonda di via Panoramica come sempre è occupata: oltre mille persone di sicuro, solo alcune a volto semi-coperto. Gira voce che ci siano tante telecamere in giro. Di autocompattatori diretti verso la discarica di Terzigno ancora neanche l’ombra: dopo l’ordinanza del prefetto che li autorizza a sversare per tutto il giorno, le società di smaltimento rifiuti hanno capito di dover attendere che passi la notte e scaricare durante il giorno, quando la gente è a lavoro.
Non è ancora mezzanotte, dunque, ma c’è tensione: troppa. Da alcuni gruppi di ragazzi partono le prime pietre verso il cordone di carabinieri, alcuni petardi. La sassaiola a tratti sembra inasprirsi, poi si ferma. L’unica luce che illumina la zona si accende e si spegne, sembra quasi telecomandata ad arte per spegnersi quando iniziano a partire dalle forze dell’ordine degli strani lacrimogeni che, arrivati in cielo, si aprono in quattro parti per poi cadere fra la folla.
Urla, spinte, sassi, lacrimogeni e bombe carta. È una surreale scena di guerriglia in cui, in fondo, i carabinieri non hanno ancora deciso di reagire davvero. Quando è l’ora, infatti, basta un attimo e assieme alle cariche inizia a correre lungo la rotonda un blindato dei carabinieri che disperde la folla. La gente corre ovunque per perdersi nelle terre ai lati di via Panoramica, mamme e figli terrorizzate urlano e inveiscono sia contro le forze dell’ordine sia contro i manifestanti più accesi, autori della sassaiola e dello scoppio dei petardi. Alla fine delle cariche c’è un uomo a terra con degli strani bossoli accanto a sé. La gente intorno sostiene che siano stati sparati dai carabinieri colpendogli la gamba, ma che tipo di proiettili siano non si riesce ancora a capirlo.
È stata una battaglia, a Terzigno, l’ultima notte e a farne le spese ovviamente sono le persone comuni, quelle che vanno a manifestare senza immaginare di tornarne feriti. Per oggi, mercoledì 29, è prevista la marcia silenziosa del vescovo di Nola verso la cava, mentre il 30 settembre sarà la volta del lutto cittadino per i comuni del vesuviano. L’appuntamento con tutte le forze regionali di protesta è previsto, infine, per il primo ottobre alle sette di sera a Terzigno, anche se il clima è ormai diventato davvero troppo, troppo teso. (alessio arpaia)
TERZIGNO, RESISTENZA AL BUIO
Boscoreale. È buio da oltre una settimana sulla rotonda di via Panoramica, a pochi metri dalla discarica SARI. Le luci sono state spente, creando una difficile e sgradevole sensazione di paura nelle centinaia di cittadini che presidiano la strada e che, ormai ogni notte, subiscono le cariche delle forze dell’ordine. Anche la notte tra il 27 e il 28 settembre la situazione non è differente, e mentre i Sindaci di Boscoreale, Terzigno e Boscotrecase hanno deciso di occupare l’aula delle assemblee della Provincia di Napoli, i cittadini si rimettono in marcia verso la rotonda; un altro gruppetto presidia l’aula consiliare occupata di Boscoreale. Verrebbe da dire “nulla di nuovo”, ma ogni notte negli occhi delle persone si leggono sentimenti contrastanti.
È evidente che il buio lì sopra è voluto ad arte per creare panico ed è strano notare come, da qualche giorno, di fronte alla strada (via Zabatta) dove più spesso avvengono le cariche di alleggerimento delle forze dell’ordine, sia stato installato un faro luminoso che acceca le persone proprio in quel punto.
Anche la notte tra lunedì e martedì passa così, lentamente, in attesa che arrivino i camion, quando all’improvviso accade qualcosa: dal viottolo che porta giù verso Boscotrecase si avvicinano altre tre camionette dei carabinieri, che sembrano volersi schierare in maniera speculare rispetto ai colleghi già predisposti in assetto antisommossa lungo via Zabatta.
Nello stesso momento in cui le camionette arrivano, il faro gigante si spegne, e la tensione diventa palpabile anche se ancora non è successo nulla: «Perché hanno spento? Cosa vogliono anche da giù stavolta? Vogliono schiacciarci…». Dopo un po’ ci si accorge che le camionette arrivate da giù in realtà avevano sbagliato strada, infatti facendo inversione, tornano indietro e spariscono…
La notte, dunque, è andata via liscia fin quando i famigerati camion sono arrivati e i cittadini, stremati, hanno dovuto per l’ennesima volta spostarsi per fare sversare i rifiuti indifferenziati. L’indomani mattina i sindaci, uscendo dalla sede della Provincia, dicono di aver ottenuto che si instauri un tavolo di trattativa: la situazione, però, è tutt’altro che serena, e paura e tensione continuano a farla da padrone, giù ai piedi del Vesuvio. (alessio arpaia)
VESUVIO, DISCARICHE E MANGANELLI
«Questi sono pazzi…». Basta per spiegare tutto quel che sta succedendo da una settimana presso la rotonda di via Panoramica, all’incrocio tra Boscoreale, Boscotrecase e Terzigno. Siamo a cinquecento metri dalla ormai colma discarica SARI e dalla cava Vitiello, prossimo “buco” individuato da Guido Bertolaso per nascondere i rifiuti di Napoli sotto il tappeto.
La discarica SARI ha smesso di funzionare nel 1995 dopo avere ingurgitato rifiuti per oltre vent’anni. Nel maggio 2009 il governo Berlusconi, rappresentato dal sottosegretario Bertolaso, ha deciso di riaprirla senza nessun intervento di bonifica. È bastato un anno e, dal momento che la cava è piena, si è già deciso di aprire l’adiacente cava Vitiello, capace di contenere oltre tre milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere. Quando, la scorsa settimana, l’assessore regionale all’ambiente Gianni Romano ha dichiarato l’intenzione di aprire la suddetta cava, nonostante il parere sfavorevole del TAR e della commissione europea, il movimento “difesa del territorio area vesuviana” (che da anni denuncia gli scempi in atto nel parco nazionale del Vesuvio e propone allo stesso tempo metodi alternativi di gestione dei rifiuti) ha portato oltre tremila persone a una protesta che alla fine ha convinto anche i sindaci della zona a darsi una mossa: da questo sabato 25 settembre, Gennaro Langella, sindaco di Boscoreale, inizierà lo sciopero della fame mentre per la prossima settimana è atteso un tavolo tecnico di tutti i sindaci dell’area vesuviana per mettere in campo iniziative a difesa della salute dei cittadini.
Intanto sulla rotonda di via Panoramica succede l’inverosimile. Sono ormai sei giorni che la discarica è presidiata notte e giorno dai cittadini e da tre notti la polizia, in tenuta antisommossa, interviene caricando i manifestanti non appena arrivano i camion pronti a sversare. Nella notte tra martedì 21 e mercoledì 22 settembre due automezzi sono stati dati alla fiamme e cumuli di rifiuti sono stati riversati per le strade. Critica la situazione nella notte fra giovedì 23 e venerdì 24: per allontanare la folla – composta per lo più di madri e bambini – le forze dell’ordine hanno sparato sei razzi i quali, sorvolando la testa dei manifestanti opposti al cordone di polizia, sono caduti al centro della rotonda; uno di questi si è insinuato sotto un passeggino per bambini. «Questi sono pazzi…». L’incredulità delle persone è palpabile, ingenti forze di polizia sono all’opera per scortare i camion verso la cava Sari e per farlo sono pronti a caricare i cittadini; allo stesso tempo, a nessun rappresentante delle forze dell’ordine viene in mente di controllare cosa davvero trasportino i camion in arrivo verso la discarica. Durante il giorno invece, sempre giovedì 23, cinque attivisti del movimento, tra cui un padre di famiglia, sono stati sottoposti alla perquisizione degli appartamenti – finita con esito negativo – e sono stati trasportati in questura a Napoli per essere rilasciati poche ore dopo data l’evidente inutilità di una simile operazione.
Sì, è un mondo di pazzi in cui a farla da padrone è un’informazione quasi mai corretta. In questi giorni, fatta eccezione per il TG3 linea notte, Rai News 24 e la troupe di Anno Zero, è ravvisabile nei telegiornali quotidiani il tentativo di screditare i movimenti di difesa del territorio allineandosi alle parole di Bertolaso, il quale ritiene che “dietro queste proteste si nasconde la camorra”. Sono pazzi gli amministratori, sono pazzi i tutori dell’ordine, sono pazzi i mezzi di informazione… ma quelli candidati a morire avvelenati sono le migliaia di cittadini che abitano alle pendici del Vesuvio, il quale negli anni ha preso le sembianze di una pattumiera a cielo aperto che da abusiva è stata semplicemente legalizzata. (alessio arpaia)
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