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Domenica 25 settembre ore 21 - Campofelice Saro, sgarrista.

Campofelice Saro, sgarrista.
“… ‘a verità? Uno può passare una vita a punire gli sgarri degli altri, terrà sempre uno sgarro suo che adda pavà personalmente. E nisciuno si scorda mai ‘e niente.”

Sinossi:
Saro Campofelice, sgarrista, si trova, come in altre occasioni, sul luogo del lavoro, ma questa volta sente tutta la stanchezza accumulata in tanti anni di “onorata professione”. In una squallida camera d’albergo attende il momento in cui dovrà agire. Fuori, la città vive e irrompe coi suoi suoni eccessivi: è una giornata di festa religiosa, ma ci sono anche gli immancabili cortei di disoccupati e intanto la comunità cittadina si prepara ad ascoltare il discorso elettorale del politico di turno, candidato al Comune, che è proprio il bersaglio di Saro. Il camorrista ha l’incarico di punire uno sgarro che quell’uomo aveva fatto a suo padre tanti anni prima. Ma l’attesa estenuante cui è costretto il killer permetterà allo spettatore di osservare da vicino il mondo interiore di Saro, le sue aspettative, i suoi rimpianti, le sue manìe.

L’autore:
Scrissi questo testo anni fa come divertimento personale, ma ora grazie all’entusiasmo di Giancarlo Cosentino ne riesco a vedere anche il debutto.
In questo arco di tempo il tema intorno all’identità del camorrista si è molto approfondito grazie all’opera di Saviano e degli atti giudiziari di giudici coraggiosi. Oggi conosciamo meglio la psicologia dei boss e dei loro giovani seguaci, che si ispirano direttamente a personaggi come Scarface, scimmiottando la finzione cinematografica come mito esaltante della loro misera vita.
Nel mio testo Campofelice Saro mitizza invece una vita normale, che non ha mai avuto. Lavorando in chiave di commedia direttamente sul luogo comune del quieto vivere, Campofelice Saro aspira a una pensione dignitosa che lo affranchi dalle stanchezze di una professione che ormai segue regole e tecnologie troppo stressanti per lui, non più giovane e con fantasie di pesca e di buona cucina. Un napoletano gusto del filosofare per godersi la tranquillità del tempo che scorra senza fretta. Ma l’apparente solarità è inquinata dall’inquietudine che coinvolge se stesso e la Napoli alla quale si affaccia dalla finestra dell’albergo dove si trova per motivi di lavoro. L’esistenza cui aspira non è la sua e passato, presente e futuro si affastellano in un continuo agitarsi di realtà e sogno, presentando il conto di una vita violenta non per scelta ma per tradizione familiare. Padre, madre, moglie e antichi amori sono il riferimento inevitabile di chi non può vivere se non nel solco dell’identità familiare, dove l’eredità paterna non poteva in alcun modo essere evitata: Sgarrista, figlio di Sgarrista a cui già a sei anni i compagni di scuola facevano il baciamano.
Buon divertimento,
Pierpaolo Palladino

L’interprete:
L’idea è quella di fare, una volta tanto, uno spettacolo sulla “banalità del male” (per questo ancora più inquietante), che emerge nel quotidiano di un uomo apparentemente “comune”, autore di omicidi senza averne il minimo rimorso, come se facesse un mestiere qualsiasi. Tuttavia questo non è uno spettacolo sulla legalità, ma una “soggettiva” di un uomo che vive con crescente ansia l’attesa che precede l’ennesima esecuzione, a pochi metri dalla folla che invade le strade su cui si affaccia la postazione del protagonista: pensiamo a quante volte nella nostra vita abbiamo sfiorato inconsapevolmente un individuo che veniva da un atto criminoso o stava per farlo. E se l’intento dell’autore è quello di sbirciare nella vita privata di Campofelice Saro, un piccolo malavitoso, figlio d’arte, che non si sente più adeguato a sostenere quel ruolo all’interno del sistema (ma per lui ormai è troppo tardi), le letture possibili sono svariate. Penso che alcune scintille di quel magma di emozioni che brucia nell’animo di Saro possano colpire lo spettatore, il quale addirittura potrà identificarsi nel protagonista, ovviamente non per il “lavoro” che svolge ma per gli aspetti esistenziali che affiorano in tante persone alla soglia dei cinquanta anni.

Giancarlo Cosentino


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