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Sempre e comunque: il teatro è rito!
Nel “Manifesto per un nuovo teatro” (1968), Pasolini afferma: “Il teatro è rito. Sempre e comunque”. Per lui il teatro è innanzitutto un “rito naturale”, ovvero il sistema di segni della realtà e della vita quotidiana che ha luogo ogni giorno in casa, per strada, in uno stadio gremito, nei ritrovi pubblici. Il primo tipo di teatro che si distingue dal teatro della vita quotidiana è il “rito religioso”, in cui si combinano propiziazione, scongiuro, mistero, orgia, danza magica. Quando in Grecia, per la prima volta, si prendono le distanze dalle forme religiose, il teatro diventa nella democrazia ateniese “rito politico”. Successivamente, un nuovo tipo di teatro, quello moderno, venne creato dalla borghesia, a partire dalla sua prima rivoluzione, quella protestante. La sua storia comincia nel Cinquecento col teatro professionistico dei comici dell’arte, si sviluppa col teatro elisabettiano e il teatro del periodo d’oro spagnolo, e giunge fino ai nostri giorni.
Il teatro della borghesia, realistico, ironico, avventuroso, essendo finalizzato all’intrattenimento e alla celebrazione dei fasti mondani di questa classe, è un “rito sociale”, che giunge al suo culmine con la seconda rivoluzione borghese, quella liberale. Il declino della borghesia – o meglio l’avvento della rivoluzione tecnologica, la cosiddetta terza rivoluzione – apre le porte al teatro antiborghese delle avanguardie, che Pasolini definisce semplicemente “rito teatrale”. Emerge quindi il desiderio di recuperare le origini religiose del teatro come azione sacra ed esperienza comunitaria. In una società secolarizzata e dominata dai saperi scientifici e dalla tecnologia, la religione violenta, sacrilega, oscena, dissacrante ma allo stesso tempo consacrante del teatro del Gesto o dell’Urlo ha come contenuto il teatro stesso o il mito della forma teatrale.
Per evitare questa autoreferenzialità, Paolini propone il teatro come “rito culturale”, ossia il recupero di un teatro di parola come ricerca di contenuti reali, forma di aggregazione delle componenti più attive e responsabili del mondo degli oppressi e impegno per la trasformazione della società.
DEFINIZIONE DI RITO
Il termine “rito”deriva dal latino “ritus” che significa “ordine stabilito”. Si collega al greco “artys” (prescrizione – ordinamento) e rimanda a una doppia radice indoeuropea; una ar – armonica disposizione delle parti con il tutto – produce la parola sanscrita rta e l’iranico arta che rinviano ai nostri termini di arte, rito, rituale, evocando il concetto profondo di armonia restauratrice e della sua funzione terapeutica; l’altra ri (‘scorrere’) rinvia a termini come ritmo, rima, riva – da cui l’inglese river (“fiume”) – e quindi evoca il fluire ordinato rispettivamente delle parole, della musica, delle acque. Entrambe le radici rimandano a una visione religiosa del mondo come ordine dell’universo e dei suoi abitanti stabilito dagli dèi, ordine al quale ogni essere vivente si deve conformare per stare bene.
CLASSI DI RITI
Molti sono i criteri di classificazione dei riti. Il criterio fenomenologico più comprensibile è quello eziologico, che legge i riti come atti legati a periodi critici della vita individuale, sociale e cosmica. Il rito, in questi casi, trasforma o rigenera la vita della persona, della società e della natura. I riti ciclici, le feste periodiche come Capodanno, le celebrazioni stagionali dell’arrivo della primavera (Pasqua) o dell’inverno (Halloween) sono riti cosmici. Le feste di Capodanno, in particolare, sono occasioni di rigenerazione periodica delle forze sacrali del gruppo, recuperate attraverso azioni in cui si riproducono il caos primigenio e l’ordinamento vitale del mondo delle origini.
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