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Addio Ben Gazzara

Biagio Anthony Gazzara, in arte Ben Gazzara, è morto a New York per un cancro al pancreas il 3 febbraio, aveva 81 anni! Figlio di immigranti siciliani di origine canicattinese, Gazzara nasce a New York il 28 agosto 1930. La sua adolescenza la trascorre in un quartiere difficile della grande mela. Le cattive compagnie e la desolazione che scaturisce dalla povertà d’animo, piatto tipico di “quell’ambiente americano”, le abbandona quasi subito per dedicarsi seriamente al teatro. Si unisce giovanissimo ad una compagnia, comincia l’università, recita in diverse produzioni in città e dopo soli due anni sceglie l'Actor's Studio a discapito della poco interessante carriera da studente di università.
Negli anni cinquanta, a Broadway, è “Brick Pollit” ne “La gatta sul letto che scotta”. Il dramma di Tennessee Williams, diretto da Elia Kazan in quel frangente, fu in realtà la prima delusione per l’attore Gazzara, quello che in realtà possiamo definire un percorso parallelo, necessario per il “cinema”, poi per l’attore. Per la versione cinematografica, infatti, venne scelto da Richard Broock il bello di turno, un Paul Newman tanto diverso quanto –come dire- idoneo alla parte assegnata. Gazzara no, quel viso particolare, da “cattivo”, servirà a diversi registi “eccezionali” per dire qualcosa di nuovo. Io ho scelto di ricordarlo così, con i suoi film .. quelli che preferisco ovviamente!

Cominciamo da quella volta con Totò, Anna Magnani e Mario Monicelli.. è il 1960 e la pellicola in questione è “Risate di gioia”. Ben Gazzara interpreta il ladro Lello, maldestro, simpatico, bugiardo .. uno a cui non si riesce a credere. Alla fine la farà franca. A doppiare Gazzara è il grande Pino Locchi, l’inconfondibile voce di “Bond Connery”.


Con il regista e amico John Cassavetes, Gazzara crea le sue interpretazioni più interessanti. Si, proprio il grande Cassavetes, regista noto proprio per l’improvvisazione della realtà, per il legame familiare che riesce a stabilire con i suoi attori, amici intimi. Della ricca collaborazione, 3 film in 7 anni, la pellicola che preferisco è “L'assassinio di un allibratore cinese” (The Killing of a Chinese Bookie) del 1976. Gazzara è Cosmo Vitelli, un piccolo imprenditore costretto ad uccidere. La sua interpretazione è commovente; l’uomo rappresentato è santo, poi semplicemente pronto … a compromettersi? (consigliato)

Poi ci sono gli italiani e l’Italia! I maestri italiani “con la telecamera in terra”, quel legame forte con le sue origini, infine, che ci consegnano l’attore – americano, e questo è ovvio, ma per amare il cinema conviene preoccuparsi degli occhi, di quello sguardo arrabbiato de “Il Padrino” italiano, un accostamento che rimarrà nella storia (il traguardo più grande per il cinema.. ma ci vorrebbe un trattato per far capire cosa intendo … ordine!

Nel 1981, la collaborazione con il regista milanese Marco Ferreri vale il piccolo film “Storie di ordinaria follia”, rifacimento cinematografico della raccolta di racconti di Charles Bukowski pubblicata nel 1972 … “Storie di Ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni”. Gazzara, manco a dirlo, è il poeta statunitense, mentre la bella Ornella Muti la prostituta con cui l’uomo di distrugge.

Poi è la volta di Pasquale Festa Campanile (2 film), Valerio Orsini, Alberto Bevilacqua, Giuliano Montaldo e Leandro Castellani… ma è nel 1986 che arriva il personaggio giusto da interpretare per il maturo attore newyorkese. Dopo una regia a quattro mani in “Cento giorni a Palermo”, fa il suo esordio “cinematografico” quello che è destinato a diventare uno dei più grandi registi italiani: Giuseppe Tornatore, siciliano di Bagheria. L’opera prima del maestro che successivamente di aggiudicherà l’Oscar con “Nuovo cinema Paradiso”, è liberamente tratta dall’omonimo romanzo “Il Camorrista”, scritto dal giornalista Giuseppe Marrazzo e pubblicato nel 1984. La pellicola, subito sequestrata e poi liberata nel 1994 (fu Rete4 a trasmetterla per la prima volta), racconta la vita criminale de “O Professore e Vesuviano”, alias il superboss della NCO (Nuova Camorra Organizzata), irriducibile, ergastolano, fine pena mai, Raffaele Cutolo di Ottaviano. Ben Gazzara, doppiato dal grande Mariano Rigillo, lascia alla storia del cinema una grande interpretazione. Il film, a mio avviso uno dei migliori del genere “mafia e camorra”, valse al bravissimo Leo Gullotta (il Capo della squadra mobile Iervolino) il David di Donatello come migliore attore non protagonista; l’Italia, non ancora pronta per film di questo tipo, preferisce aspettare anni prima di premiare “l’attore che diventa camorrista”, eroe negativo, padre assassino (anche se nel film non v’è alcuna traccia del figlio del superboss, giustiziato a Torino con più di 100 colpi di pistola dalla ‘ndrangheta calabrese in un meccanismo di vendetta un uomo per un uomo): sovrastrutture!

Dieci anni dopo è la volta di “Buffalo ‘66”, di Vincent Gallo (film d’esordio per l’attore/regista/pittore/montatore/pittore e tanto altro), pellicola indipendente a cui sono molto affezionato. Gazzara è Jimmy Brown, il padre di Billy (Gallo); il quale, appena uscito di prigione dopo cinque anni, precipita a casa dei suoi con una “moglie” tutta nuova (consigliato): è il 1997!

Poi succede che i fratelli Ethan e Joel Coen lo chiamano per prendere parte ad uno dei film che preferisco in assoluto: The Big Lebowski. Il personaggio principale, Drugo (infelice traduzione di Dude e chiaro riferimento al mondo meccanico di Kubrick – idea italiana), è liberamente tratto dalla folle biografia di Jeff “The Dude” Dowd, il finanziatore del loro primo film e tra i fondatori dei Seattle Seven. Le pellicola (inutile dire ..CONSIGLIATO) ruzzola come una palla da bowling, vi hanno preso parte tutti gli attori più amati dai Coen; su tutti, manco a dirlo, un grande John Goodman, nei panni di Walter Sobchak, un uomo folle liberamente ispirato all’uomo John Milius (il regista di Conan il Barbaro). Gazzara è il cattivo di questa commedia nera, il nichilista Jackie Treehorn, l’uomo senza scrupoli che lascia che uno dei suoi “pisci” sul tappeto di Drugo (quello che “dava un tono all’ambiente).

Nel 2003 è Jack McCay nel film Dogville, del danese Lars Von Trier (definitivo allontanamento dal dogma per il regista). Il film, ambientato agli inizi degli anni trenta a Dogville (fantastica cittadina USA), è a mio avviso un vero e proprio schiaffo al sistema di vita occidentale anzi, di un America che Von Trier racconta senza esserci mai stato veramente. Jack McCay è un vecchio scrittore cieco, un uomo intrappolato nel suo buio che non rinuncia a far soffrire la povera Grace, una giovane donna in fuga da alcuni gangster …. (consigliato)

A cura di Bardamù


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