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Napoli, finalmente la tua coppa. da NAPOLI MONITOR

Se, come si è detto, ai giocatori del Napoli la vittoria della coppa è fruttata un cospicuo premio partita, i tifosi si sono dovuti accontentare dei prodotti gentilmente “offerti” dall’autogrill Prenestina, zona Roma est. È vero, infatti, che la vittoria mette sempre più fame (Sacchi, Ferguson, Mourinho & co. insegnano), ed è anche vero che l’appetito vien mangiando: così, dopo uno sforzo fisico e psicologico quale quello sostenuto dai supporters azzurri per novantacinque infiniti minuti, la sosta corroborante è stata d’obbligo, tanto più che è cattiva educazione rifiutare qualcosa di offerto. Ma questa, in fondo, è la fine. Doveroso fare un passo indietro.

Il Napoli è campione d’Italia, non ha vinto lo scudetto, ma è ugualmente campione. Ha portato a casa la coppa Italia, il primo trofeo dell’era De Laurentiis, il primo vero trofeo dopo l’era Maradona. La capitale, piena di tifosi di quattro tra le sei più importanti squadre italiane, doveva essere una polveriera, ma in realtà tutto è andato liscio, complice l’organizzazione per una volta efficiente, sia militarmente (termine quanto mai adatto in questa circostanza, date le forze messe in campo) che logisticamente (dai concentramenti per i tifosi fino al trasporto degli stessi tra i parcheggi e lo stadio, su cento bus messi a disposizione suo malgrado dal sindaco Alemanno, in queste occasioni sempre più allo sbando). Contatti rilevanti, insomma, tra romanisti, laziali, juventini e napoletani non ce ne sono stati, e così, quando lo stadio Olimpico si è riempito per l’inizio della finale, c’è stato spazio per la sfida.

La prima, quella del tifo, è stata nettamente vinta dai napoletani. Capaci come sempre di introdurre all’interno dello stadio una quantità smisurata di fumogeni, torce, botti e così via, i tifosi azzurri hanno cominciato a rumoreggiare ben prima dell’inizio del match, mentre quelli juventini, più compiti, si crogiolavano su qualche coro autocelebrativo, per essere tornati campioni d’Italia dopo sei lunghi (per loro) anni. Alla lettura delle formazioni i nomi dei calciatori azzurri venivano accompagnati da boati, mentre quelli degli juventini bombardati da una pioggia di fischi, e animaleschi ululati, che hanno costretto persino lo speaker dello stadio a velocizzarne la lettura. Gli stessi fischi, poco dopo, sono stati riservati all’inno nazionale cantato da Arisa, sotto gli occhi di un incredulo Schifani, forse non a conoscenza dell’insofferenza sempre crescente che si respira in città nei confronti della madrepatria, condita da un forte senso di appartenenza alla città – allo stadio assai più forte che altrove – che peraltro sedicenti gruppi meridionalisti cercano, anche in curva, di cavalcare (per fortuna senza grosso successo) con la loro retorica del brigantaggio e del calimerismo (siamo tutti piccoli e neri). Questa però è un’altra storia, e vedere Schifani fremere imbarazzato e infastidito è sempre una soddisfazione.

Nel corso della serata la supremazia del tifo azzurro va un po’ affievolendosi, pur rimanendo tale per quasi tutti i novanta minuti: traendo vantaggio da una curva, quella bianconera, capace di andare poco oltre una coreografia tricolore («Ma quelle gliele paga il padrone: Moggi, Agnelli, basta che si prendono i soldi!», mi dicono) e un lungo coro ben scandito verso la fine del primo tempo, i tifosi azzurri risultano comunque assai più tonici rispetto ai dirimpettai bianconeri. Non riescono pienamente a coinvolgere i lati della curva, è vero, ma grazie all’apporto dei rumorosissimi botti, e all’entusiasmo creatosi dopo i gol, mostrano, soprattutto nel pre-gara e dopo le reti di Cavani e Hamsik, una torcida quasi sudamericaneggiante.

La partita, va detto, non è un granché. Il Napoli parte meglio, mette sotto la Juve per almeno un quarto d’ora e va vicino al gol in due occasioni (con Zuniga e Lavezzi). Poi vengono fuori i bianconeri, che dominano fino al guizzo dello stesso Lavezzi, che a metà secondo tempo strappa un rigore all’ingenuo Storari. Cavani lo trasforma con freddezza e comincia la discesa. La Juve spinge e il Napoli si difende, piuttosto bene, anche se rischia qualcosa. Inler risulta il migliore in campo. Poi un contropiede sull’asse Pandev-Hamsik chiude i conti, mentre lo slovacco stramazza al suolo per la gioia, proprio sotto la curva azzurra.

Il finale è un tripudio, condito da una serie di eventi piacevoli: l’ingresso del nemico Quagliarella bombardato di fischi e di cori a dir poco ingiuriosi; l’espulsione (ancora tra i fischi) dello stesso Quagliarella, che mentre i suoi ex compagni sono già quasi a festeggiare rifila una gomitata al sempre sagace provocatore Aronica; gli ultras bianconeri che ripiegano gli striscioni e si avviano a tornare a casa a dieci minuti dal termine; i fumogeni azzurri al fischio finale; la faccia da funerale di Conte e Del Piero. E Paolo Cannavaro, giocatore normale ma a quanto si dice ottimo capitano, ormai ex ragazzo della Loggetta, che alza la coppa con al collo la sciarpa dello storico gruppo dei Fedayn, e lo stadio esplode.

Per il resto c’è solo spazio per la festa. La coppa, alla luce della gestione della gara, e del percorso fatto dalla squadra azzurra, è meritata. Mentre si torna in macchina, e ci si imbottiglia per la prima volta inebriati nel traffico del Grande raccordo anulare, è tempo di clacson e commenti sulla prossima partenza di Lavezzi (commosso a fine partita). Di ricordi portati a casa dopo l’invasione di campo, di telefonate alle fidanzate rimaste a Napoli, e di cronaca in diretta dei caroselli in città. Di Kinder Bueno che uno sconosciuto ti porge all’autogrill, dove si banchetta perché ci si è meritato anche quello.

È il primo trofeo “vissuto” per tanti ventenni e trentenni nati durante e dopo l’epoca di Maradona. È il primo dopo troppi anni di radioline scagliate per terra tra le bestemmie, intossichi domenicali, trasferte improponibili. E poi Imbriani, Matrecano, Stojak, Murgita, el picapiedra Husain, Dionigi e Max Vieri, Triuzzi, Mora e tanti altri. Sarà pure una semplice coppa Italia, ma dopo tutto questo, vale la pena godersela per bene. Auguri Napoli, eccoti la tua coppa!

da NAPOLI MONITOR
(riccardo rosa)

-iga-


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